
L’abuso di questi (indispensabili) farmaci già in età pediatrica è una delle principali cause dell’antibiotico-resistenza
Non vedo l’ora che ricominci la scuola!
Diciamoci la verità, quale genitore, degenere o meno che sia, non ha pronunciato almeno una volta nella vita questa frase durante la sterminata sospensione estiva delle attività didattiche? Ogni anno salutiamo settembre con un sospiro di sollievo, ci capita di goderci anche qualche settimana di tregua, ma poi, proprio quando cominciavamo a crederci sul serio, immancabile arriva la telefonata dell’operatrice scolastica che ci avverte che il nostro tesoruccio ha la febbre o ha la tosse o ha il mal di pancia o ha mal di orecchie oppure tutte queste cose insieme e insomma, dobbiamo correre a prenderlo e riportarlo subito a casa.
E qui inizia il problema.
Come affrontare la lotta senza quartiere contro quegli eserciti di virus e batteri che (complici le lunghe ore trascorse in aule affollate e con le finestre chiuse) ogni inverno si impossessano inesorabilmente di nostro figlio, anello inconsapevole di un’inarrestabile catena di Sant’Antonio pestilenziale?
La tentazione di ricorrere subito alla somministrazione di un antibiotico è forte, per accelerare la guarigione e per evitare sovrainfezioni o complicanze. Una tentazione da cui molti pediatri per primi non sono immuni, anzi…
Quando l’antibiotico non va dato
Innanzi tutto, partiamo da una precisazione fondamentale: l’antibiotico è utile solo per le infezioni di origine batterica, ma è completamente inutile (anzi, può essere persino dannoso) per curare le infezioni causate da virus.
Quindi somministrare un antibiotico in caso di febbre, raffreddore, vomito o diarrea non ha alcun senso perché questi sintomi, nella stragrande maggioranza dei casi, non sono provocati da infezioni batteriche ma virali e quindi non avremmo alcun beneficio. Indicato, invece, è il trattamento con il paracetamolo o l’ibuprofene (la Tachipirina o il Nurofen, per intenderci), per abbassare la febbre e attenuare il senso di malessere.

Come fare a capire quando, invece, è opportuno ricorrere all’antibiotico?
L’antibiotico non è escluso a priori anche in questi casi, ma dovrebbe eventualmente subentrare solo in seconda battuta, quando l’osservazione del decorso della malattia ne suggerisca la necessità di utilizzo. A esempio, se la febbre non passa per molti giorni, la tosse si intensifica e permane fastidiosa, oppure se subentrano nuovi sintomi: in questi casi sarà opportuno rivolgersi al pediatra che valuterà la possibilità che si tratti di un’infezione batterica. Generalmente l’occhio clinico del medico è sufficiente per fare una diagnosi, ma talvolta si renderanno necessari ulteriori accertamenti, come tamponi orofaringei o esami colturali delle urine, che consentono di identificare con precisione il batterio alla base dell’infezione.

Le otiti: in inverno sono frequenti e particolarmente degne di attenzione
Durante la stagione invernale, complici a volte anche le varie attività natatorie pomeridiane (mono o bisettimanale che siano), le otiti flagellano i nostri bambini. Sia le infezioni dell’orecchio medio, sia le infezioni dell’orecchio interno hanno spesso un’origine virale. Anche in questo caso l’antibiotico è indicato solo nel caso si tratti, invece, di otiti batteriche, che normalmente sono più dolorose, produttive di secrezioni e accompagnate da febbre alta che stenta ad abbassarsi.
Ma anche qui, non tutti gli antibiotici sono uguali ed è fondamentale somministrare quello giusto per il tipo di battere. Nei neonati le otiti batteriche sono causate spesso da Escherichia coli e Staphilococcus aureus, mentre nei bambini fino ai 14 anni sono più frequenti batteri come le Streptococcus pneumoniae, Moraxella catarrhalis e Haemophilus influenzae.
Ogni antibiotico ha uno specifico spettro di azione, nel senso che contrasta un numero più o meno ampio di batteri. Somministrare l’antibiotico sbagliato, oltre a essere inutile, può provocare l’insorgere di effetti collaterali.
Detto ciò, sottolineiamo l’importanza di far valutare sempre l’infezione dal pediatra e di curare le otiti batteriche con l’antibiotico opportuno, perché si tratta di infezioni particolarmente insidiose che, se trascurate, possono dare inizio a un’infiammazione cronica con conseguenti danni permanenti all’udito o addirittura a una meningite.

Modalità corrette di utilizzo
Se è importantissimo capire se e quando mettere in campo gli antibiotici e scegliere quelli adatti al caso specifico, altrettanto fondamentale è seguire le corrette modalità di somministrazione degli stessi.
Vediamo quali sono le regole:
- rispettare i tempi. Se sforare di qualche decina di minuti non è un problema, ritardare la somministrazione di qualche ora (magari per non svegliare il bambino che riposa) è un grave errore che può compromettere l’efficacia dell’intero trattamento. Se si attende troppo tempo tra una dose e l’altra, infatti, la concentrazione di farmaco nel sangue diminuisce troppo e i batteri tornano a proliferare;
- completare sempre il trattamento. Anche se dopo qualche dose i sintomi scompaiono (normalmente ciò accade dopo circa 72 ore) è fondamentale non interrompere l’antibiotico prima del termine della terapia prescritta dal pediatra. In caso contrario, si rischia una recrudescenza della malattia a causa dei batteri non debellati completamente e, cosa molto più grave, si favorisce la cosiddetta antibiotico-resistenza, ovvero la selezione dei batteri più resistenti.
L’antibiotico-resistenza è un fenomeno in crescita esponenziale, che mette a serio rischio la salute non solo dei nostri figli, ma dell’intera comunità, perché si stima che diventerà la principale causa di morte entro il 2050.

Prevenire è meglio che curare?
Non sempre.
Un altro mito da sfatare, infatti, è l’utilità di assumere antibiotici in via preventiva, cioè per scongiurare l’insorgenza di un’infezione batterica. In generale questa pratica, salvo in alcuni casi valutati di volta in volta dal pediatra (come, ad esempio, in caso di ferite, accertamenti diagnostici invasivi o di soggetti con un deficit immunitario accertato), non è raccomandabile.
Sono solo i vaccini che svolgono un’azione preventiva, non gli antibiotici.

Gli effetti collaterali e come affrontarli
Premesso che in molti casi sono utilissimi e necessari, gli antibiotici non sono immuni da effetti collaterali, che vanno conosciuti e gestiti al meglio.
Vediamone alcuni tra i più comuni:
- disturbi gastrointestinali. Gli antibiotici distruggono il microbiota (ovvero i batteri buoni che costituiscono la flora intestinale) e i batteri che aiutano la digestione.
Per ripristinare l’equilibrio non bisogna mai dimenticare di assumere dei probiotici (da non confondere con i fermenti lattici, non sono la stessa cosa e la loro efficacia, al contrario di quella dei probiotici, non è scientificamente provata!) una volta terminata la terapia;
- infezioni da candida. La candida è un fungo presente nel nostro organismo in equilibrio con altri microrganismi. L’antibiotico altera questo equilibrio e favorisce la prolificazione della candida nel cavo orale (il cosiddetto “mughetto”) oppure sul derma, specialmente nelle zone ano-genitali, più calde e umide, dove provoca una tipologia di dermatite cosiddetta “da pannolino”. In entrambi i casi si farà ricorso a creme o gel antifungini.
- aumento della sensibilità alla luce. Durante la terapia con alcuni antibiotici (tetracicline, sulfonamidi e fluorochinoloni) è bene evitare di esporre i bambini al sole per scongiurare la comparsa di macchie brune. In ogni caso, è bene spalmare sempre abbondante crema solare;
- reazioni allergiche. Purtroppo, non si possono mai escludere. Nella stragrande maggioranza dei casi sono reazioni lievi, come ad esempio l’orticaria, ma in alcuni rari casi possono essere gravi, fino allo shock anafilattico.

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