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ToggleIl Ministero degli Affari Esteri ha reso noto ieri l’arresto, avvenuto in data 19 dicembre, della reporter italiana Cecilia Sala che si trovava in Iran per svolgere il suo lavoro, quello di raccontare i profondi cambiamenti in atto in un Paese instabile e nell’occhio del ciclone. Un lavoro pericoloso il suo, ne era consapevole, ma era partita con regolare visto giornalistico. Eppure, dopo circa 10 giorni di incontri e interviste, Cecilia Sala è stata fermata nella capitale Teheran per essere tradotta nel carcere più temuto, quello di Evin, quello dei dissidenti politici, dove pare sia in cella da sola. Il ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani fa sapere che l’ambasciata e il consolato italiano in Iran si sono attivati subito e stanno seguendo il caso con la massima attenzione.

È stato il Ministero degli Esteri a comunicarlo
La Farnesina fa sapere che l’ambasciatrice d’Italia Paola Amadei ha effettuato una visita consolare nel carcere di Evin per verificare le sue condizioni e lo stato di detenzione. «In precedenza – si legge nella nota del Ministero – la dottoressa Sala aveva avuto la possibilità di effettuare due telefonate con i parenti. In accordo con i genitori della giornalista, la Farnesina invita alla massima discrezione la stampa per agevolare una veloce e positiva risoluzione della vicenda». Al telefono Sala avrebbe detto: «Sto bene, ma fate presto», invitando anche alla cautela mediatica. La reporter ha parlato al telefono anche con il compagno, Daniele Raineri, giornalista de Il Post. Secondo le autorità iraniane Cecilia Sala avrebbe «violato la legge islamica», ma in che modo è ancora tutto da chiarire. Quando toccò alla blogger Alessia Piperno due anni fa, ci vollero 3 settimane perché le fantasiose accuse di spionaggio venissero rese pubbliche. Per lei si risolse tutto per il meglio, è vero, ma solo dopo 45 giorni di detenzione nel terribile carcere dove ora si trova la dottoressa Sala.

Cecilia Sala, 29 anni e già al servizio della verità
La giornalista, nota per i molti podcast pubblicati per Chora Media, era in Iran per raccontare come il Paese stesse affrontando i nuovi assetti internazionali a seguito della caduta del regime siriano. Probabilmente per lei è stato fatale l’incontro, avvenuto un giorno prima del suo arresto, con Zeinab Musavi, una donna che con la sua pungente comicità, mette a nudo le contraddizioni del regime. Zeinab è in carcere per le parole pronunciate durante uno sketch. Ma in un Paese come l’Iran non si può nemmeno ridere su certe cose e una classe politica che non sa ridere di se stessa è come un albero senza fronde, incapace di offrire sollievo ad altri, condannato a morire sotto il peso della sua superbia. Il 16 dicembre Cecilia Sala aveva pubblicato un podcast dal titolo Una conversazione sul patriarcato a Teheran, con protagonista una 21enne iraniana di nome Diba. Seppur giovanissima, Sala è già una reporter internazionale di successo: ha seguito sul campo la crisi in Venezuela, il ritorno dei Talebani a Kabul e la guerra in Ucraina. Dal 2019 ha iniziato a collaborare con il quotidiano Il Foglio e produce il podcast di interviste Stories per Chora Media. Ha scritto anche i libri Polvere. Il caso Marta Russo, edito da Mondadori nel 2021 e L’incendio. Reportage su una generazione tra Iran, Ucraina e Afghanistan uscito nel 2023.

Le probabili ragioni del suo arresto
«Il giornalismo non è un crimine» scrive Claudio Cerasa sul quotidiano dove scrive anche Cecilia Sala, Il Foglio. È uno di quei Paesi dove la libertà di stampa praticamente non esiste. «Il Press Freedom Index del 2024, pubblicato da Reporters Without Borders, – leggiamo ancora su Il Foglio – lo classifica al 176° posto su 180 paesi valutati. Dal 2022, da quando cioè è iniziata la protesta femminista “Donna, vita, libertà“, sono stati arrestati 79 giornalisti, alcuni condannati a pene molto severe. Solo nella prima metà del 2024 le autorità iraniane hanno arrestato o condannato almeno 34 giornalisti». E l’Iran da tempo arresta cittadini stranieri, rendendoli di fatto ostaggi, per avere materiale di scambio. Ma scambio con chi? Pochi giorni fa due cittadini iraniani sono stati arrestati con l’accusa di spionaggio industriale, Mahdi Mohammad Sadeghi, arrestato negli Stati Uniti e Mohammad Abedini Najafabadi fermato all’aeroporto di Milano Malpensa. Per entrambi l’accusa, partita dalla Corte Federale di Boston, è il tentativo di esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Non stupirebbe un tentativo di scambio tra Cecilia Sala e uno di loro o tutti e due.

Tanti i messaggi condivisi per la sua liberazione
La giornalista era partita da Roma per l’Iran il 12 dicembre con «regolare visto giornalistico e tutte le tutele di una giornalista in trasferta», precisa il suo editore. Il suo non era un viaggio improvvisato. Il suo rientro a Roma era previsto per il 20 dicembre, ma la mattina del 19, dopo uno scambio di messaggi, il suo telefono è diventato muto. Le autorità sono già al lavoro per riportarla a casa. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha scritto sui social: «Tutto il Governo, in primis il Presidente Giorgia Meloni e il Ministro Tajani, si è mosso per farla liberare. Ogni persona che poteva e può essere utile per ottenere questo obiettivo si è messa al lavoro». Secondo Crosetto «le trattative con l’Iran non si risolvono, purtroppo, con il coinvolgimento dell’opinione pubblica occidentale e con la forza dello sdegno popolare, ma solo con un’azione politica e diplomatica di alto livello. L’Italia lavora incessantemente per liberarla, seguendo ogni strada». Messaggi di incoraggiamento e sensibilizzazione sono arrivati da Amnesty International, dalle Federazioni giornalistiche, dai leader dei partiti e da molti attivisti per i diritti umani. Il portavoce di Amnesty International Italia Riccardo Noury ha espresso subito la sua idea sul negoziato che si prospetta: «Bisogna convocare l’ambasciatore iraniano a Roma e ribadire non solo la preoccupazione per una connazionale, ma anche il rimprovero: è stata arrestata una giornalista con regolare visto, impegnata nel suo lavoro. Serve un dialogo fermo e trasparente. Non possiamo accettare che Cecilia diventi una pedina di scambio, come si vocifera possa accadere con il caso di un soggetto arrestato a Malpensa e richiesto dagli Stati Uniti. Questa logica di trattativa trasformerebbe una questione diplomatica in un negoziato, qualcosa che dovrebbe far riflettere e indignare».
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