
Chiamatelo Jannik Winner. Il mondo del tennis è color carota
Con il trionfo contro Zverev a Melbourne, Sinner conquista il suo secondo Australian Open consecutivo e si riconferma il dominatore assoluto del tennis mondiale. E nei momenti difficili, dall'accusa di doping ai guai fisici, lo aiuta un'arma in più: la testa
6-3, 7-6 (7-4), 6-3. Tre set a zero, una vittoria non schiacciante dal punto di vista puramente numerico se si guarda set per set, ma perentoria e senza appello, quella di Jannik Sinner a Melbourne contro il russo naturalizzato tedesco Aleksander Zverev nella finale degli Australian Open 2025.
La vittoria che gli consegna per il secondo anno consecutivo il trionfo in uno dei quattro tornei più importanti dell’anno, che vanno a comporre il cosiddetto Grande Slam (Roland Garros, Wimbledon, e US Open sono gli altri tre).
La vittoria che restituisce, una volta di più, il senso di impotenza degli avversari quando si imbattono nel tennis del nostro numero uno.

6-3, 7-6 (7-4), 6-3. È una vittoria “chirurgica”. Un solo break (la conquista del servizio dell’avversario) a fare la differenza di punteggio nel primo e nel terzo set. Perché, al di là dell’apparenza, in entrambi i set i 3 punti che separano i due tennisti sono frutto di un unico servizio strappato all’avversario, mantenendo i due propri in più.
Nel secondo, quando Zverev mostra i muscoli, impedendo la fuga di Sinner a inizio set (quando sull’1-0 per lui si era trovato 40-0 sul servizio del tedesco con la possibilità di strappare subito il break, ma venendo poi rimontato) e restituendo colpo su colpo portandolo al 6 pari, la zampata decisiva arriva nel tie break, il tredicesimo game che, essendo risolutivo per assegnare il set, si gioca su regole di punteggio diverse. Sul 4 pari al tie break, dunque, ecco tre punti di seguito del tennista altoatesino, 7-4 acquisito e secondo set incamerato e Zverev nell’angolino a meditare e chiedersi “dove ho sbagliato”?

Già, perché è questo il segreto di Sinner. Il tennista dai capelli color carota ti toglie via via la sicurezza, tu fai il massimo, magari ti sembra di spingerlo alle corde, strappargli qualche punto, indurlo all’errore. Ed è vero, ogni tanto succede. Ma nel frattempo, per forzare, sbagli anche tu, quindi tutt’al più siete pari. E quando è necessario fare il punto decisivo, tu ci arrivi mentalmente spompato, lui no, è nella sua normalità ha fatto il suo, fa il suo, magari alzando un pochino il livello di quel tanto che basta, dove tu non arrivi, e tutti a casa.
L’impressione di chi ci gioca contro è quella di avere davanti un muro, che ti restituisce sempre la pallina e ogni tanto te la mette pure nell’angolo dove non puoi arrivare quando rimbalza su una crepa che non avevi visto. Con un fisico longilineo, così diverso dal tennis muscolare che ha preso piede negli ultimi anni, i suoi arti lunghi e snodabili, la mobilità che la sua leggerezza gli consente, e la sensibilità di un polso che gli permette di restituire il colpo insieme con la precisione di un cecchino e la delicatezza di una piuma, Sinner è in grado più di altri di correre lungo il campo per precipitarsi all’incontro tra la sua racchetta e la pallina scagliatagli contro dall’avversario e gestirla come meglio crede, in modo lineare, come se il gioco cominciasse in quel momento. Là dove tutti arriverebbero in affanno, lui arriva quell’attimo prima che gli consente di dosare il colpo come vuole lui e fare ciò che serve per mettere in difficoltà l’avversario. E neanche sempre: solo nei momenti giusti. Insomma, ti illude, perché stai lì, a un passo dal punto decisivo, giochi alla pari, ma poi quando c’è davvero, il punto decisivo, “casualmente” lo fa lui. È una costante di tutte le ultimi finali: tutti gli avversari riconoscono che la gara è stata equilibrata, ma non poteva che andare così.

Soprattutto se l’unico avversario che in qualche modo nell’ultimo anno è riuscito davvero a metterlo in difficoltà, l’ancor più giovane spagnolo Carlos Alcaraz, si “autoelimina” andando a perdere contro avversari a cui, sul piano del talento puro, sembrerebbe superiore, come è successo anche in questo ultimo Australian Open, dove il tennista iberico aveva perso proprio contro Zverev.
Ecco. L’unica controprova che manca ancora forse a Sinner è una vittoria che ne sancisca la superiorità anche contro Alcaraz, come fu quella in Coppa Davis contro Djokovic, o contro quasi qualunque altro avversario in qualunque altra occasione da quel momento a oggi.
Le vittorie di Jannik, ma si vedeva già da quando a 16 o 17 anni dominava i tornei giovanili ponendosi da subito su un altro livello rispetto ai coetanei, sono soprattutto vittorie di testa. Gli altri, se fanno un errore o sono sotto pressione, si demoralizzano o vanno nel pallone. Lui, se fa un errore, si chiede subito come non ripeterlo. Se subisce la pressione, si isola mentalmente, smontando il momento psicologico con la routine e la disciplina. Impara continuamente. Ed è questo che spaventa e inibisce gli avversari: l’impressione è che il tennista numero uno al mondo sia ancora in un processo di crescita.

Un processo che due cose soltanto possono fiaccare, lo dice quest’ultimo anno.
Una sono i problemi fisici. La struttura corporea di Sinner è longilinea, atipica rispetto a gran parete degli avversari: per rispondere colpo su colpo con una forza e un’assiduità incredibili, il rischio è che Sinner finisca per forzare i suoi muscoli, le sue articolazioni, i suoi tendini. E poi possono accadere crisi come quella che l’ha visto protagonista nell’ottavo di finale contro Rune, in cui le immagini dei tremori alla mano mentre si reggeva la testa con un asciugamano hanno fatto il giro del mondo.

La seconda è la spada di Damocle che pende sulla sua carriera, quel ricorso da parte della WADA, l’agenzia mondiale antidoping alla sentenza sul caso Clostebol che aveva prosciolto il tennista altoatesino, e che verrà discusso il prossimo 16 e 17 aprile presso il TAS di Losanna. Una situazione che già lo scorso anno aveva generato le condizioni per la sua rinuncia alle Olimpiadi e che porta continui sospetti da parte di colleghi o addetti ai lavori. Frecciatine che vorrebbero metterlo in difficoltà e a cui lui risponde sul campo, ma che certo non lasciano tranquillo fino in fondo un giocatore che, a ventitré anni, si ritrova sul tetto del mondo a dover gestire pressioni di ogni tipo.
Al netto di questo, però, l’impressione generale rimane quella di un giocatore capace di raggiungere ancora livelli inesplorati nel suo gioco e per il quale, negli anni a venire, faranno più notizia gli errori, le sconfitte e le difficoltà che non i successi. Una caratteristica, questa, che appartiene solo ai campioni. Per il momento, resta la considerazione che Sinner, con questo successo in terra australiana, riconferma i 2000 punti dello scorso anno in classifica, rimanendo il n°1 incontrastato del tennis mondiale.
E, solo per questo sport, il colore Pantone di questo inizio di 2025 non è il Mocha Mousse, ma un intenso e coinvolgente color carota.

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