
Nei colloqui di Istanbul del 16 maggio tra delegazioni russa e ucraina, con la mediazione turca, e nel vertice dei leader europei di Tirana c'erano tutti (o quasi...), tranne una vera volontà di porre fine alla guerra
Come una grottesca rappresentazione scenica, come un involontario sberleffo alla storia dell’arte e a tutto quanto sentiamo come bellezza e cultura, la foto diffusa, tra gli altri, dal Ministro degli esteri turco Hakan Fidan del tavolo di negoziato tenutosi ieri a Istanbul tra le delegazioni russa e ucraina sulla guerra tra Mosca e Kiev è evocativa di ben altre immagini impresse nella nostra memoria. Riporta alla mente scene leonardesche, descrizioni bibliche, racconti mistici, raffigurazioni conviviali. Ma di mistico, di artistico e soprattutto di conviviale, appunto, ha ben poco.
Fotografa, anzi, un insuccesso. Si è conclusa, in pratica, con un nulla di fatto la giornata di incontri tra i rappresentanti diplomatici di Mosca e di Kiev, seduti uno di fronte all’altro e separati da incaricati del governo turco (con al centro, per l’appunto, il suddetto Ministro degli Esteri Fidan): appena un’ora e quaranta minuti di colloqui per stabilire un prossimo scambio di mille prigionieri a testa e decidere che i prossimi passi andranno concordati per iscritto.
Il resto sono state dichiarazioni sdegnate di condizioni e concessioni territoriali inaccettabili poste dai Russi, secondo gli Ucraini, e di caldi inviti a farle, quelle concessioni, prima dell’apocalisse, da parte dei Russi.
Il tutto a favore di telecamera, con la quarta parete rappresentata da noi, che guardiamo con ansia e trepidazione sperando che le due controparti trovino finalmente, prima o poi, la chiave per la pace.
Ma appunto, è questa disposizione scenografica a favore di telecamera l’informazione più rilevante che porta con sé questa foto: è tutto teatro. Tutto sistemato ad arte affinché ciascuno degli attori in scena riceva l’applauso dal proprio, ristretto pubblico.
Il Presidente turco Erdogan, per aver riaffermato la centralità della Turchia sullo scacchiere globale e nella regione Est-Europea e Mediorientale ed essersi posto una volta di più come mediatore e motore dell’iniziativa politica dell’area.
Gli inviati di Putin, per dimostrare che la Russia non si sottrae al tavolo della pace.
Gli inviati di Zelensky, per dimostrare di essere a loro volta aperti al negoziato.
Tutto “dimostrativo”, a favore di chi guarda da dietro la quarta parete, noi, che speriamo di cogliere sviluppi positivi, illudendoci che il rischio di un’escalation che ci coinvolga sia più lontano.
Ma non mancava solo una parete, in quella foto di scena. Mancavano anche gli attori principali.
Putin e Zelensky, innanzitutto. Il Presidente Russo ha atteso fino alla vigilia per comunicare che non sarebbe andato al vertice. Una decisione che sicuramente imbarazza in parte il Cremlino, perché immediatamente bollata nell’opinione pubblica, quantomeno occidentale, come il segno che la Russia non vuole la pace, ma che serve a mantenere il “pallino” della guerra nelle mani di Mosca: una dimostrazione che nessuno dalle parti della Piazza Rossa si farà costringere a compiere passi che non vuole compiere.
L’apparizione e sparizione nel giro di poche ore di Zelensky in terra turca invece ha un’allure di illusionismo che neanche il mago Copperfield o, per restare dalle nostre parti, un più umile mago Casanova, avevano mai neanche lontanamente sfiorato. Now you see me, now you don’t… Giusto per dimostrare “Io c’ero, erano altri gli assenti…”, stringere qualche mano e poi volare altrove (vedremo dopo dove).

Poi mancava Trump. E che, se mancano olio e sale, io vado a fare il cetriolo scondito? Ma neanche per idea, a Mar-a-Lago si sta tanto bene… The Donald non rinuncia però a una delle sue sparate, minacciando sanzioni alla Russia se non accetterà a breve gli accordi. Sembra di rivedere il comportamento della conferenza stampa con Zelensky alla Casa Bianca di qualche settimana fa. Ma Tra Vladimir e Volodymir c’è una discreta differenza.
E così l’annunciato vertice dove potenzialmente Putin, Trump e Zelensky potevano convergere simultaneamente per discutere delle vere condizioni di fine della guerra si è rivelato l’ennesimo, sfrontato, buco nell’acqua in mezzo alle buche vere create da bombe e droni sul terreno e tra la gente. Ultima, ma solo in ordine di tempo, quella lasciata da un minivan colpito da un drone russo nella città di Sumy con 9 morti accertati.
E così il “cessate il fuoco come precondizione per discutere di pace” che Kiev rilancia ormai da tre anni appare sempre più come l’ennesimo proclama velleitario, colto per l’ennesima volta come pretesto per stigmatizzare la posizione russa, da parte ucraina ma anche e soprattutto da parte dell’altro gruppo di attori assenti a Istanbul: i leader europei.
I quali, dal canto loro hanno provveduto a un’altra foto dimostrativa ed evocativa niente male, che ricorda invece una via di mezzo tra richiami caravaggeschi e un’altra opera della storia dell’arte un po’ meno nota: la “lezione di anatomia del dottor Frederik Ruysch”, di Adriaen Backer, del 1670, pittore di scuola olandese (o, peggio, la versione del 1683 di Jan Van Neck).



A Tirana per un vertice europeo incentrato sui colloqui di Istanbul si sono infatti ritrovati il Presidente della Polonia Donald Tusk, il Presidente ucraino Zelensky fresco arrivato da Istanbul, il Presidente francese Emmanuel Macron, il Primo Ministro britannico Keir Starmer e il novello Presidente tedesco Friedrich Merz, che si sono fatti raffigurare mentre si intrattenevano (toh, guarda chi ritorna) con il Presidente USA Donald Trump in video collegamento per commentare l’andamento dei colloqui turchi.
Il tutto mentre il/la Presidente del Consiglio (dal genere quantomeno grammaticalmente più fluido che si sia mai avuta da queste parti, suo malgrado) Giorgia Meloni veniva santificata e ricevuta in ginocchio dal Presidente albanese Edi Rama prima di riunirsi con lei per un bilaterale, ma rimaneva fuori dal vertice ristretto dei leader, facendosi poi anche smentire da Macron sull’affermazione che l’Italia non aveva partecipato al colloquio dei “Volenterosi” perché non disponibile a mandare truppe in Ucraina. “Veramente stavamo discutendo dei colloqui di pace di Istanbul”, la risposta in soldoni del Presidente Francese, che poi ha comunque cercato di porre rimedio alla gaffe istituzionale, incontrando a sua volta Meloni in un successivo bilaterale per evitare (invano) l’accusa di frantumare l’unità europea.


Ma nel complesso, è vero che di discorsi sulla pace, a Tirana come a Istanbul, se ne sono visti ben pochi. “Inaccettabile che Mosca non accetti” (il cessate il fuoco), il senso delle conclusioni dei leader occidentali.
A subire la “lezione di anatomia” del mondo occidentale (e presente nella foto di Tirana, ma solo come fantasma) c’è la pace. Con la p minuscola, perché tanto quella maiuscola sarebbe solo dimostrativa e altisonante, un maiuscolo per autoconvincersi e farsene belli, ma non corrisponderebbe allo stato effettivo delle cose. Perché, diciamocelo, a oggi una vera pace non serve ancora a nessuno.
Ci si può quasi immaginare di sentirlo, il discorso di uno qualsiasi dei delegati russi e ucraini al tavolo di Istanbul, o dei leader europei al tavolo di Tirana, tanti galli cedroni al servizio della loro boria e dei loro bias cognitivi sulle intenzioni della controparte, sulla falsariga di un celebre personaggio di Carlo Verdone nel film dal titolo legato ai suddetti “pennuti”: «…ma sta pace, ce serve o nun ce serve»?
E forse la conclusione che dobbiamo trarne è che, in fondo in fondo, questa guerra serve ancora a tutti. A smaltire armamenti obsoleti. A conquistare posizioni. A mettere alla berlina l’avversario politico o diplomatico. A ergersi come potenza regionale o continentale. A restare in carica in patria. A volare nei sondaggi. A stringere accordi commerciali vantaggiosi.
“In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”, disse una volta Qualcuno (tanto per tornare alle suggestioni della foto iniziale). Ma qui, a tradire le speranze di pace, ci si mettono d’impegno un po’ tutti.
E i denari in gioco, purtroppo, appaiono essere ben più di trenta.
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