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ToggleDall' "Extra Omnes" all' "Habemus Papam": piccolo breviario per orientarsi tra regole secolari, candidati eccellenti e outsider, in attesa del prossimo pontefice

Con la data d’inizio del Conclave fissata a mercoledì 7 maggio, anche l’ultimo passaggio formale di preparazione alla grande macchina che dovrà eleggere il nuovo Pontefice dopo la dipartita di Papa Francesco di una settimana fa è compiuto.
Per i prossimi giorni, e poi ancora oltre il 7, se il conclave dovesse prolungarsi, fioccherà inesorabile il “Toto-Papa” con diversi nomi che rimbalzeranno sui giornali e nei discorsi di vaticanisti esperti e improvvisati, mentre è stata già creata la pagina ufficiale del FantaPapa, dove si può cercare di indovinare non solo il nome del prossimo vicario di Cristo, o il nome da Pontefice che sceglierà, ma anche elementi come l’ordine di provenienza, l’origine geografica, e se sarà un Papa progressista o conservatore.

Al di là degli aspetti più bizzarri, il mondo cattolico arriva a questo momento storico profondamente diviso e rispecchia questa dicotomia anche la schiera dei Cardinali Elettori, ossia i detentori della tonaca cardinalizia che abbiano meno di 80 anni di età e che siano dunque ammessi a scegliere il nuovo Pontefice, in base a un provvedimento preso all’epoca da Paolo VI e poi confermato anche da Giovanni Paolo II e dai successori.
Da una parte, l’approccio ecumenico e più liberale, talvolta definito anche “terzomondista”, di cui lo stesso Papa Francesco era considerato un paladino, improntato alla costante difesa degli ultimi e alla diffusione della fede come missione prioritaria del mondo ecclesiastico.
Dall’altra, le istanze di un ritorno alla tradizione liturgica e di una “difesa” della fede dall’aggressione culturale e confessionale che ne avrebbe sradicato, negli ultimi lustri, poteri, prerogative e soprattutto autorevolezza e capacità di influenza.
Due opposti mondi e due modi di risolvere una crisi della spiritualità e delle vocazioni (e anche di reputazione, a seguito di scandali sia sessuali che finanziari) che è in atto da tempo. Il Conclave, con l’elezione del prossimo Papa, dovrà dunque dare un indirizzo e un’indicazione ai fedeli di tutto il mondo su quale strada dovrà intraprendere la Chiesa Cattolica nei complicati tempi che stiamo vivendo e che, presumibilmente, ci aspettano nei prossimi anni.
D’altro canto, le complesse dinamiche che si svolgono durante un conclave sono tutto meno che prevedibili. È celebre il detto che “chi entra Papa nel Conclave ne esce cardinale”. Nelle ultime occasioni, questa “regola” fu disattesa forse solo con la scelta di Joseph Ratzinger: da Papa Roncalli a Papa Montini, fino a Wojtila e allo stesso Bergoglio, l’elezione ha infatti quasi sempre destato una certa sorpresa, quantomeno tra i fedeli.

La composizione del conclave
Dei 252 cardinali attualmente in vita, solo 135 hanno meno di 80 anni e sono dunque ammessi a eleggere il prossimo Papa.
È bene tuttavia precisare che, in teoria, qualsiasi uomo che sia battezzato, celibe e di religione cattolica può essere eletto, quindi ipoteticamente il prossimo Papa potrebbe anche essere una figura esterna ai Cardinali Elettori. Storicamente tuttavia questa eventualità si è verificata solo tre volte, l’ultima nel 1522, quando fu eletto Adriano VI, vescovo olandese non presente al conclave, che tra l’altro fu l’ultimo Papa straniero prima di Wojtila.
I cardinali che si ritroveranno nella Cappella Sistina sono uno spaccato in realtà molto più composito delle semplici categorie “progressista-conservatore”.
L’80% (ben 108 su 135) dei cardinali ammessi a partecipare a questo conclave sono stati ordinati cardinali direttamente dallo stesso Papa Francesco. Un elemento che in qualche modo potrebbe attutire le divisioni “percepite” all’esterno. La comune provenienza “Bergogliana” avrà di certo una forte influenza nella scelta, risentendo dell’esigenza di esprimere una continuità con lo spirito, se non con i provvedimenti. del Pontefice argentino, anche se il Papa “venuto dalla fine del mondo” ha badato comunque, nelle sue nomine, a rappresentare tutte le anime della Chiesa.
Il fatto che una così larga parte dei cardinali votanti sia stata nominata tale negli ultimi dodici anni ha anche altre due implicazioni: la gran parte di essi, in primo luogo, è costituita da “neofiti” delle complesse dinamiche del Conclave, visto che non erano presenti ai precedenti conclavi, e potrebbero quindi sia subire il carisma e l’influenza dei cardinali di più vecchia nomina, sia in qualche modo sfuggire a dinamiche consolidate e portare dunque a scelte sorprendenti.
In seconda istanza va rilevato anche che molti di essi, anche per una politica non troppo diffusa dei sinodi adottata da Papa Francesco, solo in questa triste occasione stanno avendo modo di conoscersi tra loro per la prima volta. La “prima impressione” durante le Congregazioni Generali cardinalizie di questi giorni, potrebbe dunque portare in auge un nome non ancora venuto alla ribalta, qualora gli alti prelati individuassero in lui le qualità morali e di carisma necessarie a guidare la Chiesa.

La composizione geografica
Tutti i cardinali interpellati in questi giorni hanno chiarito che non sarà la provenienza geografica a influenzare la scelta del prossimo Papa, bensì le sue qualità ecumeniche e morali e la sua capacità di rappresentare e influenzare il mondo della Chiesa in continuità con l’azione di Papa Francesco. Pur tuttavia, la composizione geografica del conclave ha un ruolo per quanto attiene alla vicinanza di mentalità e di vedute e alla diversità di esperienza pastorale che i cardinali porteranno con loro all’interno della grande aula della Cappella Sistina. Dei 135 porporati ammessi al voto, 53 cardinali provengono dall’Europa, con ben 19 italiani, gruppo più numeroso. 23 cardinali sono originari del grande continente asiatico, 21 dalla stessa America Latina da cui è stato scelto Bergoglio, 18 provengono dall’Africa, 16 dal Nord America e 4 dall’Oceania, in rappresentanza di 60 Paesi del mondo totali.
È, di fatto, il conclave più globalizzato di sempre. E proprio per questa parcellizzazione delle provenienze, chi all’interno del collegio cardinalizio riuscisse a “fare gruppo” attorno a un singolo candidato, potrebbe manifestare su di lui quell’aura di ineluttabilità necessaria a far pendere la bilancia a suo favore nel corso degli scrutini.
In ultimo, vi è la questione dell’ “italianità”. Dopo oltre 400 anni ininterrotti di Papi italiani, l’elezione nel 1978 di Papa Giovanni Paolo II ha infranto quello che era un vero e proprio tabù nell’era moderna, quello di un Papa straniero, e da quel momento non vi è più stato un Papa nato in Italia. In un contesto così sfarinato di provenienze, i Cardinali potrebbero sentire la necessità che a prendere le redini della Chiesa sia un Pontefice che la realtà dei rapporti diplomatici di Roma con il resto del mondo e con lo stesso Stato Italiano la conosce bene e il gruppo di italiani, come detto il più numeroso, se convergesse su un unico candidato esprimendo compattezza potrebbe influenzare la decisione dei cardinali elettori.
In caso invece questa compattezza non emergesse, a “fare gruppo” potrebbero essere i cardinali del composito mondo Nord Americano: si è sempre evitato di scegliere un Pontefice della stessa nazionalità dello Stato più potente del mondo, ma sia influenze interne che esterne precedenti alla chiusura delle porte del conclave potrebbero convincere i cardinali a virare su una figura proveniente da quell’area geopolitica. In ultimo ci sono invece le istanze delle nuove comunità apostoliche che richiedono una rappresentanza alla loro visione del mondo e potrebbe essere giunto il momento per Asia o Africa, per esigenze di evangelizzazione, di riconoscersi in un Papa che abbia origine in quelle terre.
Il quorum

Vi è, poi, la questione del quorum. Il prossimo Papa per essere eletto dovrà raccogliere un numero di voti pari ai 2/3 dei votanti. Dopo il primo scrutinio nel pomeriggio del 7 maggio, a seguire la messa “Pro Eligendo Pontifice” e l’ormai celebre proclama “Extra Omnes”, fuori tutti, che lascerà nella Cappella Sistina solamente i Cardinali Elettori, le votazioni dal giorno successivo si susseguiranno al ritmo di quattro al giorno fino all’elezione del nuovo Pontefice. In caso i Cardinali non trovassero la quadra entro il 33esimo scrutinio, nel 34esimo (quindi al decimo giorno di conclave, il 16 maggio) si procederebbe a un ballottaggio tra i due candidati più votati nel corso dell’ultimo, che non potrebbero esprimere il loro voto.
Per provvedimento preso già da Papa Benedetto XVI, tutte le votazioni relative all’elezione di un Papa però devono terminare con una maggioranza acclarata dei due terzi dei votanti, in teoria compresa questa poiché nel testo non sono indicate eccezioni. Ciò significa che nessuno dei candidati, anche forti, che arriva al conclave come rappresentante di una “corrente interna” può sperare di farcela se non raccoglie il consenso anche di una parte di altre “correnti”. Non è detto che ciò porti necessariamente a una figura di compromesso: il prossimo nome potrebbe essere scelto anche per la sua capacità di attrarre su di sé i voti degli indecisi o di convincere delle sue intenzioni e della sua visione chi in teoria appartiene, o meglio, è grossolanamente ascritto, per le sue posizioni, alla “fazione” opposta.
Dei 135 cardinali ammissibili in conclave, inoltre, due, l’Arcivescovo emerito di Valencia Antonio Canizares Llovera e l’Arcivescovo emerito di Nairobi John Njue, hanno già annunciato il loro forfait per motivi di salute, mentre l’Arcivescovo emerito di Sarajevo Vinko Puljic, dato inizialmente per assente, risulta al momento computato negli elenchi diffusi dalla Sala Stampa Vaticana, ma potrebbe essere costretto a votare dalla propria stanza a Casa Santa Marta sempre per motivi di salute. In ogni caso, con le due assenze confermate, il quorum originario di 90, calcolato sui 2/3 dei Cardinali presenti alla votazione, è già sceso a 89 e potrebbe scendere ulteriormente in caso di nuove defezioni.
Vi era poi la questione a lungo rimasta in sospeso del Cardinale Angelo Becciu, il quale reclamava un posto in Conclave, preclusogli però per disposizione di Papa Bergoglio, quando era ancora in vita, per motivi disciplinari legati agli scandali che lo hanno visto protagonista negli anni più recenti. Infatti nell’elenco dei Cardinali diffuso dalla Sala Stampa Vaticana Mons. Becciu è sempre stato definito “non elettore” e l’orientamento del Congresso Cardinalizio parrebbe essere sempre stato di impedire la sua partecipazione al Conclave. Alla fine ha ritirato lui stesso la candidatura.
Cosa avverrà dentro la Cappella Sistina e chi sono i "Papabili"...

























Di certo, chi varcherà la soglia della Cappella Sistina destinato a rimanervi dopo la chiusura delle porte, avrà le idee chiare su chi votare nel corso dei primi scrutini.
Se nel corso di queste votazioni un singolo candidato dovesse emergere con forza, è probabile che l’orientamento generale sarebbe confermativo, e dunque si potrebbe assistere a un Papa eletto già nelle prime votazioni.
Se però ciò non portasse ugualmente al raggiungimento del quorum con la conseguente elezione, quel nome forte sarebbe irrimediabilmente “bruciato” e tutto tornerebbe in discussione.
Se, dopo questo passaggio, o anche fin da subito, dovessero emergere invece due o tre candidati con un seguito più o meno pari, i voti dispersi su altri candidati nei primi due o tre scrutini potrebbero confluire su di essi in quelli immediatamente successivi e già al secondo giorno portare a una chiara indicazione su quali tra i due o tre nomi in ballo abbia più possibilità di raccogliere i voti necessari. Ciò potrebbe però portare anche a una situazione di stallo. Questo rimetterebbe tutto in discussione e i gruppi di influenza interni dovrebbero allora trovare un Papa di compromesso, che potrebbe risultare dal quarto-quinto nome più votato nei primi scrutini o in una figura del tutto nuova.
Al di là delle dinamiche elettorali, vale la pena ricordare che il “faro” di chi entra in conclave sono gli interessi della comunità religiosa di cui ogni cardinale è portavoce, quella locale della sua comunità e quella globale dei fedeli di tutto il mondo. Quindi le categorie “politiche” hanno sì un peso, ma fino a un certo punto. In un certo senso, la percezione che sia la Provvidenza a guidare la mano e la testa dei porporati, con lo Spirito Santo che scende a indicare il nome del futuro Papa ai Cardinali nell’austerità della Cappella Sistina, ha un fondo di verità: la scelta a volte è frutto di evidenza, altre volte di intuito che genera un’onda collettiva che “monta” fino a portare all’elezione del nuovo Pontefice.
Ma chi sono i cardinali più in vista per diventare il successore di Papa Bergoglio?

Mons. Pietro Parolin (70 anni)
Tra i nomi più “chiacchierati” ci sono sicuramente coloro che nel pontificato di Bergoglio hanno avuto un ruolo di primo piano e potrebbero essere scelti in un’ottica di continuità: primo fra tutti il Cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano sotto Papa Francesco. Nato in provincia di Vicenza, ha al suo attivo missioni diplomatiche presso le nunziature apostoliche di Nigeria e Messico e il ruolo di nunzio apostolico in Venezuela, svolto tra il 2009 e il 2013 e un curriculum di tutto rispetto nella Segreteria di Stato Vaticana, di cui è stato nominato responsabile da Papa Bergoglio proprio in quell’anno. È stato lui a tenere i rapporti con tutti i cardinali nominati da Papa Francesco in questi anni e anche a comunicare l’avvenuto decesso. È dunque un punto di riferimento naturale per i tanti “neofiti” del conclave, che potrebbero far convergere i loro voti su una persona dal carisma e dalle capacità diplomatiche riconosciute e in più capace di sapersi muovere nei complessi meandri politici della Chiesa romana. Potrebbero influire sulla sua eventuale nomina, in positivo, il lavoro a stretto contatto con Papa Francesco, il che consentirebbe la “continuità” auspicata da molti con il pontificato di Bergoglio vicino agli ultimi, ma con doti più da mediatore. In più vi è un precedente recente illustre: anche Joseph Ratzinger era stato Segretario di Stato di Papa Wojtila e fu prrescelto quasi subito dal consesso cardinalizio, alla seconda votazione, dopo che nel corso della prima gli mancarono appena pochi voti, circostanza che convinse alcuni incerti a votarlo nello scrutinio bis. In negativo, invece, proprio la sua vicinanza alla visione apostolica della Chiesa di Bergoglio potrebbe finire per penalizzarlo: le posizioni sui migranti e sulla pace sicuramente non coincidono con quelle dell’amministrazione USA attualmente in carica, che può avere una certa influenza almeno sulla carta, mentre la corrente più conservatrice non vedrebbe di buon occhio il prorogarsi della politica di Papa Bergoglio.

Mons. Matteo Maria Zuppi (69 anni)
Qualora Mons. Parolin facesse percepire di non volere l’elezione, o nel caso i voti a suo favore non fossero sufficienti a “sostenere” la candidatura nelle prime votazioni, questi potrebbero convergere, anche non subito, ma una volta sondati a vuoto altri candidati, come “riserva eccellente” per uscire dall’impasse, su un altro candidato forte italiano, ossia l’attuale Arcivescovo di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Matteo Maria Zuppi. Il suo profilo è più “progressista” rispetto a Parolin, cosa che dovrebbe giocare a sfavore nel riconoscergli i voti delle correnti meno inclini al riformismo, ma il suo ruolo di primo piano, unito al sostegno dei voti dei cardinali più caratterizzati dalla visione Bergogliana della Chiesa e a un eventuale appoggio di parte dei sostenitori di altri candidati che non dovessero avere sufficiente forza per emergere, potrebbero comunque portare a un pontificato a guida italiana, che conosca le dinamiche romane ma sappia anche dialogare con la comunità cristiana mondiale, secondo la strada tracciata da Papa Francesco. Ovviamente, anche in questo caso le correnti più conservatrici si opporrebbero, ma mentre la capacità di dialogo dimostrata in questi anni da Mons. Parolin sembra più legata all’ampia rete di contatti che il Cardinale veneto è riuscito a creare in questi anni, quella di Mons. Zuppi sembra più legata all’aspetto umano che gli consente di farsi percepire, anche da cardinali provenienti da mondi lontani, come parte di quella comunità e non come uomo di curia, divenendo quindi un punto di contatto perfetto tra le due visioni. In entrambi i casi, avere una pattuglia di voti di partenza da parte dei cardinali italiani aiuterebbe.

Qualora né Mons. Parolin né Mons. Zuppi dovessero farcela, l’italianità potrebbe in effetti giocare un ruolo nella decisione dei Cardinali Elettori: dopo tre Papi stranieri, polacco, tedesco e argentino, la Curia Romana potrebbe premere per esercitare un maggior controllo ed esprimere il successore di Francesco. In quest’ottica potrebbe anche fungere da sintesi la figura del Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa, che potrebbe far convergere su di lui i sostenitori dell’ “italianità” del prossimo Pontefice insieme a chi propugna l’istanza di una visione più globale e di dialogo tra le Confessioni.
Negli ultimi giorni sta invece emergendo la figura di Mons. Claudio Gugerotti, 69 anni, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali fino alla morte di Papa Francesco. Veneto come il Card. Parolin, ha alle spalle una solida carriera diplomatica, soprattutto nei Paese dell’Europa Orientale ed è stato stimato da tutti gli ultimi Papi. Potrebbe essere la “carta di riserva” degli italiani qualora Parolin e Zuppi non raccogliessero sufficienti consensi e si preferisse un Pontificato meno caratterizzato dai difficili rapporti in terra di Palestina che un’eventuale elezione di Mons. Pizzaballa porterebbe inevitabilmente con sé.
Tra gli italiani più conservatori, in quest’ottica emerge invece il nome del Nunzio Apostolico in Iraq, Mons. Fernando Filoni, al pari di Mons. Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze, che negli ultimi anni ha avuto molti contrasti con Papa Francesco, ma ha anche un profilo attivo sul versante sociale della fede che potrebbe attrarre molti voti ed è considerato il “protetto” di uno dei “Grandi Elettori occulti” fuori dal Conclave per limiti di età, il Card. Camillo Ruini.

Mons. Luis Antonio Tagle (57 anni)
Proprio la provenienza degli ultimi Papi, però, due europei e un sudamericano, indica che la Chiesa di Roma è sempre meno “di Roma” e sempre più del mondo: una constatazione che affonda le sue basi anche semplicemente nella composizione del Conclave, come detto il più “internazionale” di sempre, con cardinali di nomina bergogliana provenienti da ogni angolo del mondo. Parrebbe in tal senso giunto il momento di un Papa proveniente dall’Asia (con tutte le implicazioni politiche che ne potrebbero derivare, in particolare sui rapporti con i “giganti” India e Cina), come il filippino Mons. Luis Antonio Tagle. Nato nella capitale Manila, di cui divenne Arcivescovo Metropolita nel 2011, fu ordinato Cardinale da Papa Benedetto XVI l’anno successivo, proprio poco prima delle sue dimissioni e dunque è uno dei “pochi” cardinali ad avere già vissuto l’esperienza di un Conclave. Dal 2019 si può dire che Mons. Tagle sia egli stesso esponente di quella “Curia Romana” di cui si fa tanto parlare, essendo stato chiamato da Papa Francesco al Dicastero per l’Evangelizzazione (ex Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli) ed era considerato a tutti gli effetti uno dei “protetti” di Papa Bergoglio in vita, tanto da essere definito “il Bergoglio Asiatico”. In un’ottica di apertura al mondo e di continuità col precedente Papato, ma anche per l’esperienza delle dinamiche romane e nella prospettiva di un dialogo col mondo orientale, Cina e India in particolare, in lui i cardinali potrebbero identificare l’elemento di raccordo perfetto che metta insieme le varie anime della Chiesa. E la sua nomina Ratzingeriana anziché Bergogliana lo metterebbe al riparo dalle critiche dell’area tradizionalista.
La sua popolarità nel mondo travalica il ristretto ambito della Curia Romana e potrebbe raccogliere molti voti tra i rappresentanti del Sud del mondo. Mons. Tagle è infatti anche il cardinale più social tra i partecipanti al conclave: la sua pagina Facebook verificata ha oltre 600.000 follower!
In un’area più tradizionalista si colloca l’arcivescovo metropolita di Colombo (Sri Lanka) Malcolm Ranjith, che potrebbe mettere d’accordo l’anima più conservatrice con quella internazionalista, mentre le sorprese potrebbero essere costituite dal cardinale birmano Maung Bo e da quello sud coreano Heung Sik.

Mons. Leo Raymond Burke (77 anni)
Difficilmente sarà eletto, perché il suo nome è troppo divisivo, ma dalla parte opposta dei banchi “Bergogliano-progressisti”, nel Conclave che verrà come in tutti gli anni più recenti, ci sarà lui, Mons. Leo Raymond Burke, ex Arcivescovo di Saint Louis e Patrono Emerito del Sovrano Ordine di Malta, esponente di spicco dell’ala più conservatrice e annoverato tra gli “oltranzisti” della tradizione liturgica ecclesiastica. Oltre a essere un difensore della cosiddetta messa “tridentina”, cioè quella in latino promulgata a seguito delle indicazioni del Concilio di Trento nel 1570, Mons. Burke ha espresso spesso posizioni critiche contro un eccessivo “femminismo” e “liberalismo” nella Chiesa, intervenendo anche “a gamba tesa” rispetto alle scelte di Bergoglio su questioni come l’aborto o il matrimonio omosessuale. Per questi motivi è visto come il vero “dominus” del mondo conservatore, anzi come lo hanno definito alcuni, il “Pope-maker”: anche se è improbabile che possa raccogliere il quorum dei due terzi per l’elezione a livello personale, difficilmente il prossimo Papa verrà eletto senza i “suoi” voti e, per provenienza (gli Stati Uniti), esperienza (anche lui fu nominato da Benedetto XVI) e carisma, con in più tutta l’influenza che un’istituzione come l’Ordine di Malta porta con sé, potrebbe anche cercare di muovere le fila di una nomina iper-conservatrice, cercando un candidato accettabile anche dall’ala più moderata.

Mons. Péter Erdö (72 anni)
Tra gli europei la candidatura più forte (non meno intrisa di implicazioni politiche) è quella del cardinale ungherese Péter Erdö, Arcivescovo Metropolita di Esztergom-Budapest e tra i principali esponenti della Chiesa più “conservatrice”, ma dotato di equilibrio e sufficientemente moderato da poter attrarre i voti necessari. Ordinato anch’egli cardinale da Giovanni Paolo II, nel 2000 (co-officiante Card. Re), negli anni, si è espresso spesso su posizioni tradizionali in temi liturgici e sociali, ad esempio si è dichiarato a sfavore dell’eucaristia per i divorziati risposati, contestando un atteggiamento della Chiesa troppo inclusivo.

Il grande “candidato silenzioso” dei Conservatori potrebbe però essere lui, il guineano Robert Sarah, Arcivescovo emerito di Conakry, e Prefetto emerito della Congregazione per il culto divino e la politica dei Sacramenti. Ordinato cardinale da Papa Benedetto XVI nel 2010, Mons. Sarah ha più volte espresso posizioni conservatrici sul decadimento della Chiesa, stigmatizzando le tendenze culturali occidentali troppo liberali. E tuttavia l’appartenere a un mondo in piena evangelizzazione come quello Africano e al tempo stesso raccogliere i consensi dell’area più tradizionalista potrebbero essere le carte vincenti per emergere come un Papa capace di parlare a entrambi i mondi e costituire un elemento di sintesi tra le diverse anime del Conclave.
La sua età, 79 anni, potrebbe essere un’arma a doppio taglio, ma in un certo senso anche un elemento a favore: alcuni cardinali potrebbero decidere di eleggerlo con l’idea che il suo Pontificato sarebbe più breve di altri candidati e dunque non segnare in modo netto e definitivo una discontinuità col passato: una sorta di “messa alla prova” per alcuni anni del mondo cattolico conservatore, per verificare se sia davvero in linea con una chiesa moderna.

Mons. Peter Turkson (77 anni)
Un altro candidato “eccellente” di origine africana è il ghanese Mons. Peter Turkson. È uno dei soli 5 partecipanti al Conclave (4 se l’Arcivescovo di Sarajevo Vujcic dovesse dare forfait) che sia stato ordinato da Giovanni Paolo II, ma ha anche collaborato a stretto contatto con Papa Francesco, prima alla stesura della sua seconda enciclica, Laudato si’, poi in qualità di primo Prefetto del neonato Dicastero per la cultura umana integrale, nel 2016, cui ha fatto seguito nel 2022 la nomina a Cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze e di quella delle Scienze Sociali. Ha al suo attivo anche la presidenza del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace sotto Papa Benedetto XVI. Un curriculum di tutto rispetto, dunque, che unisce scienza, giustizia, fede, etica e nuove tecnologie, ma che esprime anche un approccio tutto sommato conservatore del ruolo della Chiesa alle prese con le dinamiche moderne, in particolare sull’uso di contraccettivi, stigmatizzato come fornitore di una falsa sicurezza, e sul relativismo che inquinerebbe i valori della Chiesa, che potrebbe convincere i Cardinali Elettori a identificarlo come figura adatta a unire ventata di novità, con una profonda conoscenza dei fenomeni locali, e impostazione tradizionale.
Mons. Fridolin Ambongo Besungu (65 anni)
Tra i principali oppositori di Papa Bergoglio c’è stato spesso in prima fila l’Arcivescovo di Kinshasa, Mons. Ambongo Besungu, fiero rappresentante delle chiese episcopali africane che hanno osteggiato il documento vaticano Fiducia Supplicans che apriva alla possibilità di benedizione delle coppie omosessuali. L’essersi esposto in prima persona su questi temi potrebbe farne un “candidato di bandiera” dell’area conservatrice nelle prime votazioni per sondare il terreno dell’orientamento dei cardinali. Se però emergesse un numero di voti cospicuo, a quel punto si aprirebbe per lui la chance di diventare un candidato reale e forte, per età e carisma e per la provenienza dal Sud del mondo.


Mons.Robert Francis Prevost (69 anni)
Un Pontefice di origine statunitense avrebbe un impatto geopolitico dirompente: come detto, la tendenza normalmente sarebbe di non nominare un Papa originario della stessa Nazione considerata la più potente del mondo. E però, nel caso di Mons. Robert Francis Prevost, di certo il meno “americano” dei cardinali Made in USA, questo aspetto potrebbe passare in secondo piano: componente e Priore Emerito dell’Ordine degli Agostiniani, attuale Diacono di Santa Monica e Vescovo della sede vescovile suburbicaria di Albano, Mons. Prevost ha alle spalle una solida carriera missionaria, soprattuto in Perù. Carriera che è stata messa a frutto nel 2023 da Papa Francesco, che lo ha nominato a capo della Pontificia Commissione per l’America Latina.
Mons. Blase Joseph Cupich (76 anni)
Tra le figure che potrebbero beneficiare “Indirettamente” del ruolo di Mons. Burke e del dissolversi della “clausola anti-USA” c’è senz’altro almeno un altro Cardinale statunitense: Blase Joseph Cupich, Arcivescovo di Chicago. Le sue posizioni anti-trumpiane sono note, così come il suo schierarsi dalla parte di Papa Francesco a favore dei migranti. L’origine statunitense però lo rende “papabile” proprio per opposizione: la sua americanità preverrebbe le critiche alle sue posizioni e fargli pervenire voti trasversali.
Anche l’olandese Willem Jacobus Eijk e l’ex Prefetto della Dottrina della Fede Gerhard Ludwig Muller, tedesco come il suo predecessore nel ruolo Joseph Ratzinger, sono annoverati tra i “tradizionalisti” europei. Qualora nessuno dei due grandi blocchi di visione della Chiesa riuscisse a prevalere nei primi scrutini, non si può del tutto escludere l’approdo al soglio pontificio di un outsider, come il cardinale svedese Anders Arborelius, il portoghese José Tolentino de Mendonça, Prefetto del Dicastero per la Cultura e l’educazione, il cardinale maltese Mario Grech, Presidente del Sinodo dei Vescovi, che negli ultimi giorni sembra aver preso quota come figura di continuità ma al tempo stesso moderata, o addirittura il 50enne Giorgio Marengo, prefetto di Ulan Bator che potrebbe beneficiare del “precedente Wojtila” qualora i cardinali riconoscessero la necessità di un Papato stabile e duraturo e al tempo stesso più “moderno” e immerso nei tempi così complessi che stiamo vivendo.
Sembrano invece apparentemente esclusi dalla corsa al soglio Pontificio i Cardinali provenienti dall’America Latina: la continuità con l’operato di Francesco non passa dalla vicinanza geografica e il consesso dei Cardinali difficilmente digerirebbe un altro Papa Sudamericano subito dopo il ministero di Bergoglio. Per questo, però, i prelati ispanofoni potrebbero virare su un rappresentante che parli la loro stessa lingua: il già citato Mons. Tagle delle Filippine o, in Europa, il Card. José Omella, 78enne Arcivescovo emerito di Barcellona con grande carisma ed esperienza.
Il totonomi potrebbe continuare a lungo. Di certo v’è che le grandi manovre, politiche e teologiche che coinvolgono questo passaggio così importante della Chiesa erano già cominciate prima del decesso di Papa Francesco, con la sua malattia e le pressanti voci (qualcuno direbbe anche “pressioni”) circa sue eventuali dimissioni. Come detto, è ovvio che una parte dei Cardinali arriverà in Conclave al momento dell’Extra Omnes con uno o più nomi preferiti ben chiari in mente. E al tempo stesso vi parteciperanno cardinali di nomina recente che spesso neanche si conoscono tra loro. Gli Elettori varcheranno la porta con la consapevolezza che almeno uno di loro non tornerà nella diocesi da cui è partito per trattenersi a lungo nella Capitale Romana… Al momento della chiusura delle porte, idealmente, avremo già, “in pectore”, il prossimo Pontefice. Tutto sta a comprendere se uno di questi nomi, di questi candidati e di queste visioni della Chiesa avrà la forza di emergere e di convincere in fretta gli indecisi, o se dovremo attendere una lunga trafila di fumate nere prima di poter sentire pronunciare le parole “Habemus Papam”.

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