
"Una Chiesa a braccia aperte". Il primo discorso del nuovo Pontefice, con un richiamo alla pace, alla perseveranza e a una fede senza paura. Le prime reazioni.
Habemus, dunque, Papam. Ed è un nome al tempo stesso annunciato e sorprendente.
Come in molti avevano auspicato e vaticinato, il Conclave è stato breve e al quarto scrutinio, il primo pomeridiano dopo le due fumate nere della prima sera e della successiva mattinata, è stato eletto il cardinale statunitense Robert Francis Prevost.
Ha scelto di nominare se stesso Leone XIV. Un nome “impegnativo”, molto presente nella storia della Chiesa. In qualche modo una dichiarazione d’intenti: sarà un Papa radicato nella tradizione. A differenza di Francesco che aveva scelto di indossare la sola veste bianca, Papa Leone XIV ha indossato tutti gli orpelli che caratterizzano la figura del Pontefice. Ma è parso consapevole anche di dover essere una figura anche incisiva e ingombrante.
Quando è comparso sul balcone della loggia Papale della Basilica di San Pietro ha salutato con ampi gesti e, insieme, ammirato a lungo la folla festante per la fumata bianca (in qualche modo attesa ma giunta forse a sorpresa a metà pomeriggio quando invece molti si erano già predisposti alla lunga attesa che aveva caratterizzato la prima giornata), prima di pronunciare le sue prime parole.
“La pace sia con tutti voi”. Ha parlato di una pace disarmata e disarmante, presentandosi come un Buon Pastore, umile rappresentante in terra del Cristo Risorto per il suo gregge. Una vocazione da subito ecumenica, dunque. È risuonata più volte, nel suo discorso la parola “Dialogo”, con una Chiesa “con le braccia aperte”, come l’immagine evocata dal colonnato di S.Pietro guardandolo dall’alto. Ma il nuovo Vicario di Cristo ha enunciato più volte anche il termine “perseveranza”, invocando una fede “senza paura”. E la folla, sulle prime rimasta forse un po’ sorpresa dalla sua elezione (in molti si attendevano il card. Parolin o il card. Tagle), ha mostrato di apprezzare la molteplicità di spunti, declamati leggendo per lo più un testo scritto (una scelta inedita quantomeno nelle ultime elezioni) e a volte inciampando su qualche parola in italiano più complicata, ma nel complesso mostrando di sapersi ben esprimere in italiano corrente.

Unico rappresentante in Conclave dell’Ordine degli Agostiniani, nato a Chicago, 69 anni (è nato il 14 settembre 1955), ma vissuto per tanti anni in Perù, dove dopo essersi trasferito come missionario è stato nominato alla guida della diocesi di Chiclayo, Prevost era già comparso da tempo tra i nomi considerati tra i favoriti, nonostante la provenienza geografica.
Un Papa nato negli USA sarebbe stato impensabile fino ad appena pochi anni fa. Invece l’indebolirsi della conventio ad excludendum che voleva che mai si sarebbe potuto accettare un Papa di origine statunitense finché gli Stati Uniti fossero stati alla guida del mondo occidentale, e al tempo stesso la “campagna elettorale” iniziata prima in sordina poi in modo fin troppo smaccato dallo stesso Presidente Trump quando si è compreso che un Papa “made in Usa”, sia pur tutto meno che trumpiano, potesse avere concrete possibilità, si sono fuse con la figura alquanto peculiare di questo cardinale figlio di due mondi, “americano” nel senso più ampio del termine, in quanto rappresentante di entrambe le Americhe, quella del Nord, da dove proviene e che ben può rappresentare nelle sue tante sfumature, e quella del Sud che ne ha fatto l’Uomo di Chiesa che è oggi, acquisendo peraltro anche la cittadinanza peruviana. Al tempo stesso, Robert Francis Prevost è forse il meno “americano” dei cardinali statunitensi. I suoi genitori erano di origini europee, franco-italiana il padre e spagnola la madre, e lui stesso era stato, a buon diritto, identificato prima del Conclave come uno di quei possibili profili di sintesi tra dottrina tradizionale e continuità dell’azione di Papa Francesco.

E proprio Bergoglio il nuovo Pontefice ha voluto più volte ricordare e ringraziare nel suo discorso, quasi a voler testimoniare che sì, lui proseguirà il cammino della Chiesa voluto da Francesco, per lo meno per quanto riguarda il concetto della Sinodalità.
Un elemento che potrebbe essere stata la chiave di volta sia per i cardinali per trovare la quadra sul suo nome, sia per Leone XIV per accreditarsi come portavoce della Chiesa globale: da vescovo e poi da cardinale, Mons. Prevost aveva infatti partecipato a entrambe le esperienze sinodali di Papa Bergoglio e in tale veste si era fatto conoscere, anche come figura di raccordo con molti dei nuovi cardinali nominati negli ultimi anni da Francesco, in quanto Prefetto del Dicastero della Fede. Sinodalità che Prevost potrebbe aver in qualche modo assicurato ai colleghi porporati che verrà proseguita e reiterata, per una chiesa più unita. “In illo uno unum“, è d’altronde il motto da tempo da lui scelto, richiamando un passo proprio di Sant’Agostino, per testimoniare che nell’Uno supremo risiede l’unità di ogni singolo credente. Insomma, una figura autorevole al di là delle implicazioni geopolitiche di cui pure la sua nazionalità lo carica.

Uomo insieme “di curia” e figura progressista e “terzomondista”, Prevost ha comunque evidentemente ottenuto l’imprimatur della potente Chiesa americana, anche di quelle figure più vicine alla retorica trumpiana, come il cardinale Doyle o il cardinale Burke. Un “papa americano” era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela scappare, anche per Trump che in un certo senso può “portare a casa” il risultato di aver “fatto eleggere” un compatriota. E infatti il Presidente USA si è dichiarato subito “onorato” di poter annoverare un Pontefice americano tra i grandi del mondo. In Italia, agli auguri “fervidi” del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto da contraltare il messaggio di Giorgia Meloni che ha messo in rilievo il “disperato bisogno di pace” da parte del mondo. Congratulazioni anche dalle principali cancellerie europee, mentre il Presidente Russo Vladimir Putin si dichiara “fiducioso nel dialogo”.
Adesso, nelle mani di Leone XIV arrivano i tanti dossier rimasti aperti dalle questioni ecclesiali non ancora risolte, ma anche le tante dispute politiche ed emergenze internazionali che stanno segnando questo periodo della storia del mondo, dalle guerre in Ucraina e nella Striscia di Gaza alla questione climatica al ritorno del protezionismo economico.
Sarà in grado, quell’uomo di 69 anni palesemente emozionato che abbiamo visto deglutire a vuoto prima di imporre la sua benedizione e indulgenza plenaria a conclusione del suo primo intervento da Pontefice, di prendere per mano la Chiesa cattolica là dove l’aveva lasciata il suo predecessore senza lasciare nessuno indietro ma anche “senza paura” di fronte ai mali e alle difficoltà del mondo e perseguendo “con perseveranza” la pace?
Non resta che attendere i suoi primi passi e le sue prime scelte apostoliche, nella speranza che davvero lo Spirito Santo abbia operato per la miglior scelta possibile per il ruolo di guida spirituale di 1.400.000.000 fedeli che lo aspetta.

A te l'onere del primo commento..