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La delegazione USA capeggiata dal Segretario di Stato Marco Rubio e quella russa, capeggiata dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov si incontrano a Riyadh per parlare della situazione in Ucraina, in presenza di S.A. Fasalbin Farhan,Ministro degli Esteri saudita, e di S.A. Musaed Al-Aiban, Ministro di Stato, membro del Consiglio degli Affari Politici e della Sicurezza. - credits: Ministry of Foreign Affairs of the Kingdom of Saudi Arabia
Attualità

Lavrov e Rubio si parlano su Kiev. Europa, ultima chiamata

Roberto Foti
Roberto Foti
Febbraio 19, 2025

Mentre a Riad il Segretario di Stato USA e il Ministro degli Esteri russo si incontrano per discutere sulla pace in Ucraina tenendo fuori UE e Kiev, Macron organizza un vertice d'urgenza a Parigi, sostanzialmente infruttuoso. Per l'Europa era l'ultima chance prima dell'irrilevanza politica?

Sono iniziati oggi, martedì 18 febbraio a Riad, in Arabia Saudita, i colloqui tra il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Marco Rubio, e il ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov, per trovare un punto d’incontro che metta fine alla sanguinosa guerra in Ucraina. A poco meno di un mese dall’insediamento, Donald Trump non perde tempo e dà a Putin quello che cercava da tempo, un contatto diretto con l’unico vero contendente la cui autorità, in pieno schema “Guerra Fredda”, egli riconosca pari alla sua: quello dell’amministrazione USA.

Il vertice di Riad assomiglia molto al “mi faccia parlare con il responsabile”, o meglio ancora, “mi faccia parlare con chi può prendere decisioni”, che chiunque di noi almeno una volta nella vita ha avuto modo di pronunciare in caso di reclamo in qualche negozio o ufficio pubblico. E, cioè, il riconoscimento che i viaggi di Macron a Mosca di questi anni, i moniti di Von der Leyen, gli appelli e i proclami di Zelensky o persino, al tempo, le prese di posizione di Angela Merkel venivano e vengono di fatto derubricate a “rumore inutile”.

Quello che conta, per Putin, da sempre, è cosa vuole fare la Casa Bianca, il che è anche spiegabile visto il “peso” militare USA nella NATO e sullo scenario globale in genere. E dal momento che adesso, con l’ “ascesa al trono” di Trump, è diventato palese che il vero obiettivo del tycoon è la Cina e, in misura minore, l’ormai ex alleato europeo, considerato alla stregua di una sanguisuga che approfitta degli stretti legami al di là dell’Atlantico per mangiare risorse e quote di mercato interne senza dare nulla in cambio, anzi ponendo paletti, le condizioni per incontrarsi all’unico livello praticabile per Mosca si sono create. Di fatto, dopo tre anni di “muro” opposto da Mosca a qualsiasi negoziato che prevedesse la partecipazione di Zelensky al tavolo, quand’è che le premesse per incontrarsi si sono rischiarate nel giro di poche settimane? Quando Trump ha accettato di tenerlo fuori.

“Anche l’Europa”, ha rilanciato Putin. “Sì, sì, nessun problema, chi le vuole quelle sanguisughe”, ha risposto idealmente Trump. E così il neopresidente può già accreditarsi la prima vittoria: aver portato Putin, o meglio il suo primo rappresentante, Sergey Lavrov, al tavolo delle trattative.

È palese che ciò che verrà deciso a Riad sia destinato a non essere smentito. Tutt’al più potrà essere “aggiustato” in una fase successiva di confronto con le altre parti in causa, ma USA e Russia, al momento, stanno parlando dei *loro* interessi.

Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov
Il Ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov.

E sull’onda del dialogo sbloccato, già arrivano le prime concessioni che fino a ieri sembravano inaccettabili per il Cremlino. L’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea? È un “diritto sovrano di qualsiasi Paese”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa russa Tass. “Stiamo parlando di integrazione, di processi economici e qui, ovviamente, nessuno può imporre nulla a nessun Paese”, ha aggiunto poi Peskov.

Una concessione persino comprensibile, nell’ottica russa, perché il vero obiettivo di Mosca è impedire l’ingresso dell’Ucraina nella NATO. Una volta sgombrato il campo da questo rischio (ed è evidente che Trump debba aver dato abbondanti garanzie in tal senso, altrimenti il portavoce Peskov non avrebbe mai parlato così), una Ucraina dentro l’Unione Europea diventa quasi conveniente per la Russia, che può realisticamente pensare, nonostante le vicende belliche degli ultimi tre anni, di esercitare la sua influenza sulla vita politica della vicina Kiev dotandosi di fatto, in prospettiva, nella sua visione, del perfetto cavallo di troia per minare il funzionamento e le procedure dell’UE.

Altro discorso sarà mettersi d’accordo sul campo. Inteso proprio come campo di battaglia. Quali territori restituire? Quali concessioni fare? È ovvio che la presenza dell’Ucraina al tavolo sarà inevitabile.

La road map che si prospetta passa, necessariamente da una tregua bilaterale sul campo di battaglia. La richiesta pressante russa è che la parte ucraina vada al negoziato dopo aver tenuto regolari elezioni. Per cui l’ipotesi che “Putin è disposto a incontrare Zelensky”, come viene riferito nelle ultime ore, non è altro che in parole diverse quello che lo Zar Vladimir, strumentalmente, ha sempre dichiarato. Che non ha preclusioni a incontrare il suo omologo di Kiev, a patto che egli sia riconosciuto da un processo elettorale che “sani” il fatto che il suo mandato è scaduto.

Un’ipotesi finora rigettata. Ma d’altra parte Trump ha il grimaldello perfetto per “forzare” Zelensky a qualsiasi compromesso deciso di concerto con la Russia. Gli basterà negare ulteriori finanziamenti e foraggiamento in armi all’Ucraina per metterlo all’angolo.

Il Presidente dell'Ucraina Volodymir Zelensky insieme a Friedrich Merz, candidato della CDU al Cancellierato nelle prossime elezioni in Germania del 23 febbraio
Il Presidente dell'Ucraina Volodymir Zelensky insieme a Friedrich Merz, candidato della CDU al Cancellierato nelle prossime elezioni in Germania del 23 febbraio.

Per questo motivo, intuita l’antifona, Zelensky invoca la presenza al tavolo dell’Unione Europea. Già, ma quale Unione Europea? L’accostamento tra questi due termini (“Unione” e “Europa”) appare sempre più ossimorico, stanti le evidenti divisioni che serpeggiano nelle principali Capitali del Vecchio Continente. Il vertice sulla sicurezza indetto dal Presidente francese Emmanuel Macron in tutta fretta e con modalità anche piuttosto irrituale, per riunire i Paesi europei più impegnati dal punto di vista politico e militare nella questione ucraina (Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda, Polonia e Danimarca, oltre alla Gran Bretagna, non facente più parte dell’UE ma operante sul campo in modo netto nell’aiuto a Kiev, e ai vertici NATO e UE), più che – e prima ancora che – un tentativo disperato di generare un’increspatura nell’immobilità politica europea, sembra un pretesto per mettere nero su bianco l’inconciliabilità delle diverse posizioni.

Oggi ci sono almeno tre visioni diverse di cosa dovrebbe fare l’Europa in Ucraina: la visione “attivista” dell’Eliseo, quella “attendista” di Berlino – per altro al momento più presa dalla complicata campagna elettorale interna per le elezioni di domenica prossima che potrebbero dare un’ulteriore scalfitura alla costruzione comunitaria dell’Europa se certificassero la crescita di partiti anti-sistema come l’AfD – e quella dichiaratamente pro-Trump dell’Italia con Giorgia Meloni, che ieri pareva quasi titubante riguardo la partecipazione al vertice parigino, per non scontentare l’inquilino della Casa Bianca e non ha regalato un sorriso che fosse uno nelle foto ufficiali con gli altri Capi di Stato, a testimonianza di quanto fosse felice della trasferta parigina.

Le decisioni prese a Parigi hanno riguardato fondamentalmente la spesa militare, che verrà probabilmente scorporata dai calcoli inerenti al Patto di stabilità, permettendo così ai singoli Paesi di non tener conto del superamento della soglia del 2% di deficit consentito, se vorranno fare investimenti sugli armamenti, e andare dunque anche indirettamente incontro alle richieste di Trump su un maggior apporto europeo alla NATO in tal senso.

Su tutto il resto non c’è unità di intenti, né di vedute. Francia e Gran Bretagna vorrebbero inviare armi e soldati per favorire la fase di peacekeeping, Germania e Polonia frenano sul punto, realisticamente consapevoli che la richiesta in sé rende il medesimo “peacekeeping” impossibile agli occhi di Mosca, come confermato anche a Riad dallo stesso Ministro degli Esteri Lavrov. Ma al di là dei singoli provvedimenti, l’esito dei colloqui parigini, se l’intento di Macron era quello di spingere l’Europa a fare fronte comune di fronte ai colloqui di Riad, appare fallimentare.

E anche se il Segretario di Stato USA Marco Rubio ammette che, avendo l’Unione Europea e la Gran Bretagna emesso sanzioni contro la Russia, dovranno necessariamente essere presenti al tavolo dei negoziati, ciò appare più una pressione per portare l’Europa alle posizioni che concorderà Washington, che non una concessione ai propri cari alleati. D’altra parte, “tutti dovranno fare concessioni”, ha precisato il Segretario di Stato.

E dunque, mentre l’Italia, via Meloni, si allinea a Trump, la Germania ha altro cui pensare, la Danimarca ancora riflette sul destino della Groenlandia e la Polonia oscilla tra timore e rispetto del Grande Vicino russo, Parigi è, dei Paesi dell’UE, l’unica che non può permettersi ulteriori stalli di posizione.

La riunione dei vertici europei a Parigi
La riunione dei vertici europei a Parigi

Il suo ruolo di potenza nucleare, con interessi militari ed economici nelle stesse aree di impegno di Mosca (Africa in primis, ma anche Medio Oriente, nonostante le recenti “batoste” in Siria); la non semplice situazione interna, con il nuovo Primo Ministro Bayrou che ha “strappato” la fiducia appena due settimane fa a seguito delle dimissioni di Barnier lo scorso dicembre, e tensioni economiche e sociali sotterranee pronte a esplodere alla prima miccia; l’impasse annunciata nei prossimi mesi della Germania, “gigante in crisi” che va incontro a un esito elettorale incerto e rischia di ritrovarsi un Cancelliere comunque debole, a prescindere da chi sarà e dalla coalizione che alla fine lo voterà. Tutto questo insieme di fattori costringe di fatto Parigi a recitare la parte di primadonna d’Europa e reagire per proprio conto, se il Vecchio Continente non la seguirà. Il summit indetto da Macron era probabilmente l’ultimo tentativo di tenere agganciato il treno europeo a un approccio interventista.

La Francia appare l’unica delle grandi “ex” potenze Europee a ritenere di dover giocare un ruolo sullo scacchiere internazionale e il sostanziale flop della riunione in qualche modo rischia di spingere l’Eliseo a sortite in avanti non gradite dagli altri partner dell’UE e a esacerbare le divisioni, con l’Italia in primis, ma anche con la stessa Germania. Macron potrebbe avere la tentazione di “agire da solo”, come già fece Sarkozy in Libia con Gheddafi, ad esempio (con le conseguenze che tutti sappiamo).

Diverso il discorso della Gran Bretagna, da sempre pro-Kiev in funzione anti-russa, ma che ha visto infrangersi il feeling con l’amministrazione USA con le elezioni dello scorso novembre e al tempo stesso aveva “rotto” il filo rosso atlantico con Trump dopo l’elezione del laburista Keyr Starmer a Primo Ministro (e che non a caso è al centro delle pressioni dell’entourage di Trump, a partire dallo stesso Elon Musk).

Il binomio Parigi-Londra sembra dunque quello destinato a entrare più in rotta di collisione con la rinnovata concordia russo-americana di Riad. Sono loro i veri “grandi esclusi” dai colloqui.

Ciò però significa che la cara, vecchia Europa come la conosciamo ha i giorni contati. Le istituzioni europee hanno un tempo di reazione troppo mastodontico e farraginoso per inseguire la velocità con cui si muove il mondo. Al tempo stesso, farsi tagliare fuori dai processi che lo governano avrebbe conseguenze esiziali.

Nei tempi della “Guerra Fredda” l’Europa Occidentale è sempre stata “a traino” della Grande Potenza Americana (e quella Orientale di quella Sovietica) e questo era riconosciuto, ma, per contro, almeno formalmente, alle cancellerie europee veniva riconosciuto un certo ambito di manovra.

Adesso che gli interessi di USA e Russia si giocano sulla testa dell’Europa, e collidono con essa, allinearsi all’una o all’altra posizione porterebbe solo a farsi fagocitare.

Pur con tutti i suoi limiti, l’Europa nel suo complesso, attraverso i suoi tanti attori, mantiene ancora un notevole impatto sulla politica e sull’economia mondiale, ed è anzi questo il suo tallone d’achille: essere protagonista, ma non abbastanza per farsi grande. In pratica, genera solo invidie.

Da parte degli Usa, che vorrebbero farsi ancora più grandi a sue spese. E da parte della Russia, ma anche di tanti Paesi del Terzo Mondo, perché vogliono sottrarsi all’influenza, per loro nefasta, che il concetto di “democrazia” porta con sé (ma conta soprattutto la sua storica cattiva gestione verso l’esterno: i russi ancora associano i termini “Democrazia” e “Capitalismo” al crollo del Rublo e alle file per il pane, se non si capisce questo si perdono per strada tante cose).

La delegazione USA capeggiata dal Segretario di Stato Marco Rubio e quella russa, capeggiata dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov si incontrano a Riyadh per parlare della situazione in Ucraina, in presenza di S.A. Fasalbin Farhan,Ministro degli Esteri saudita, e di S.A. Musaed Al-Aiban, Ministro di Stato, membro del Consiglio degli Affari Politici e della Sicurezza. - credits: Ministry of Foreign Affairs of the Kingdom of Saudi Arabia
La delegazione USA capeggiata dal Segretario di Stato Marco Rubio e quella russa, capeggiata dal Ministro degli Esteri Sergey Lavrov si incontrano a Riyadh per parlare della situazione in Ucraina, in presenza di S.A. Fasalbin Farhan, Ministro degli Esteri saudita, e di S.A. Musaed Al-Aiban, Ministro di Stato, membro del Consiglio degli Affari Politici e della Sicurezza. - credits: Ministry of Foreign Affairs of the Kingdom of Saudi Arabia

Ora però che l’Europa, di fatto, non è più funzionale agli interessi USA, e anzi gli USA medesimi, attraverso Trump, hanno svelato l’ipocrisia e relegato l’Europa a una sostanziale irrilevanza politica, restano solo due strade. Accettare il destino di un’Europa fondamentalmente comprimaria nella storia del Ventunesimo secolo, in balia dei veri “Potenti”, protagonisti del mondo che verranno. O avere uno scatto di istinto di sopravvivenza e dotarsi di una struttura unitaria funzionale e funzionante, in ambito sociale e politico, prima ancora che militare, capace di fare blocco di se stessa e dei 27 (e magari 28 e oltre) Paesi che la compongono.

Serve un nuovo processo costituente che vada oltre l’unione economica e monetaria e la semplice struttura federativa che finisce per cristallizzare e acuire le disuguaglianze. Le grandi differenze di visione tra Paesi nordici e mediterranei, il “Gruppo di Visegrad”, la libertà d’azione rivendicata dalla Francia, hanno tutti senso se servono a temperare con un approccio plurale una Europa forte e coesa sui grandi principi. Ma in questa situazione fungono solo da scintilla per le forze centripete che mirano a distruggere qualsiasi ipotesi di Unione. Un’ “Europa dell’entropia” che, come i tanti staterelli italiani prima dell’Unità d’Italia apporti sì, cultura, sì, argomenti di discussione, sì, grande varietà di prodotti e invenzioni, ma sia fondamentalmente alla mercé del più forte.

E dunque non l’Unione Europea come istituzione, ma l’Europa come Continente appare – oggi, che Trump e Putin discutono sul destino di un suo pezzo integrante senza coinvolgerla – all’ultima chiamata utile, prima di venir considerata, e di essere di fatto, solo “un’espressione geografica”.

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