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ToggleMangiare senza averne voglia, ma solo per riempire un vuoto. E più mangi, più hai desiderio di ingurgitare cibo. Dolce o salato, salato e dolce assieme, biscotti, patatine, pizza, caramelle e cioccolata. Capita. Ma, a naso, non sembra una buona abitudine. Anche perché il cibo si trasforma in zucchero, lo zucchero si tramuta in ciccia, la ciccia si deposita sui fianchi, sulla pancia, sul viso e il grasso si insinua tra gli organi interni creando non pochi problemi. Insomma, una catastrofe!
Si chiama fame nervosa e non c’è nulla di buono in questo bisogno di ingerire qualsiasi forma di alimento masticabile che si palesi su uno scaffale del supermercato. Ma perché accade? Ce ne parla la dott.ssa Valeria Malerba.
Un vuoto affettivo che non si riesce a colmare facilmente

«La fame è un bisogno primario, una necessità fisiologica, grazie a essa si sente il desiderio di fornire al corpo tutti i nutrienti indispensabili. A volte, però, “il buco allo stomaco” dato da una sensazione di vuoto, la necessità di nutrirsi, deriva invece da una “fame emotiva”, da una carenza interiore. Questa è una fame della mente, più conosciuta come “fame nervosa”.
Questo tipo di stimolo è associato ad alcune emozioni, come la rabbia o la tristezza, ma anche alla sensazione di frustrazione dovuta a problemi quotidiani o traumi del passato. Un vuoto affettivo, che non si riesce a colmare facilmente. L’idea di riempirlo con il cibo, tuttavia, molto presto si rivela inutile e dannosa.
Anche senza la vera necessità di dover reintegrare nutrienti nel proprio organismo, si sente improvvisamente la voglia di qualcosa, di un gusto buono, piacevole, dolce, grasso, ma che comunque faccia dimenticare l’amaro delle difficoltà e sparire la tensione o l’assenza di qualcuno, portando a un altro livello emotivo. Si sente il bisogno di masticare, di mandare giù qualsiasi cosa per riempirsi, pur di non provare quei sentimenti di vuoto, a volte devastanti… ma il cibo non ha questo potere e non ha questa funzione!
Il rimorso e la paura di ingrassare provocano altre emozioni

Il comfort food, il cibo che conforta, purtroppo diventa un appiglio, a cui aggrapparsi nei momenti di solitudine e di cattiva gestione dello stress. Idealmente dovrebbe lenire le ferite e placare l’insoddisfazione, ma quel bisogno emotivo insaziabile, si impossessa della mano che porta il cibo alla bocca, in un movimento incontrollabile e meccanico.
In questi momenti si è inconsapevoli, si è concentrati sui pensieri negativi, senza neanche riuscire a sentire il gusto dell’alimento su cui ci si avventa con voracità.
Successivamente, il rimorso e la paura di aumentare di peso provocano altre emozioni negative e si torna a mangiare in modo compulsivo. Si innesca un circolo vizioso in cui non ci si sente mai sazi, ma semmai molto colpevoli; e ad aumentare non è la serenità, ma lo stress. Poi torna di nuovo il bisogno di riempirsi di cibo e dopo si sta anche peggio.
Questo ciclo negativo, invece di calmare la mente e curare il malessere, porta maggiore tensione. Dopo aver ingerito il cibo, esso da conforto si trasforma in “peso”, in zavorra, in chili di sofferenza, e così altre emozioni negative, legate ai sensi di colpa per un possibile aumento ponderale, prendono forma: una forma che non piace e l’autostima diminuisce ancora.
Come in una qualsiasi forma di dipendenza, si utilizza il cibo per ridurre l’angoscia e l’ansia, ma invece aumenteranno entrambe, non essendo il cibo un conforto reale.
Si perde il controllo e si cede alla frenesia di riempirsi velocemente, per attenuare in fretta un bisogno insopportabile, una voragine interna. Si tratta di un dolore difficile da gestire e trova sfogo in alimenti dallo scarso valore nutritivo, che spesso vengono acquistati proprio con l’intento di “confortarsi” per ridurre lo stress.
Non essere vittime volontarie di un impulso autodistruttivo

Lo stress incide sull’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e a causa del rilascio di alcuni ormoni, come il cortisolo (ormone dello stress), si avrà il desiderio di alimenti in grado di ripristinare l’equilibrio alterato, appunto grassi e zuccheri. Infatti nei momenti di fame emotiva, i cibi bersaglio sono quasi sempre ipercalorici e meno nutrienti dal punto di vista molecolare.
Affrontare un disagio emotivo in questo modo distorto, conduce a una inevitabile alterazione del risultato voluto. La sofferenza non diminuisce e il peso aumenta.
Bisogna interrompere l’associazione tensione/cibo e ritrovare la connessione con le proprie sensazioni. Per non diventare vittime volontarie di un impulso autodistruttivo, è necessario recuperare un buon rapporto con la propria emotività e con una giusta alimentazione.
Indagare tali connessioni rappresenta il focus terapeutico per prevenire e trattare i vari disturbi alimentari, tra cui il binge eating desorder (disturbo da alimentazione incontrollata), tra i cui sintomi ci sono una visione negativa del proprio corpo, umore negativo, frequenti abbuffate senza controllo e in parallelo una bassa autostima.

Imparare ad amarsi e cercare sostegno
Le emozioni negative sono in stretta relazione con un comportamento alimentare disfunzionale e la relativa insoddisfazione corporea. Regolare e gestire le emozioni correlate con la fame nervosa aiuta a disinnescare un meccanismo deleterio per la propria salute fisica e psicologica».
È questa sensazione di vuoto, causata non dalla mancanza di cibo fisico, ma da una carenza di nutrimento emotivo o da insoddisfazione interiore, a creare tutto questo scombussolamento. C’è dunque un bisogno primario di essere amati, compresi, apprezzati, dietro tutto questo. Se non tutti però reagiscono allo stesso modo – perché c’è chi si abbuffa di cibo e chi cerca conforto in altre dipendenze – di sicuro la causa della fame nervosa ha un elemento scatenante comune: la mancanza. Di qualcosa, di qualcuno, di affetto. Oppure abusi emotivi o esperienze negative nell’infanzia che lasciano cicatrici profonde.
Imparare ad amarsi e praticare l’autostima può essere d’aiuto, così come cercare il sostegno di amici o professionisti può agevolare il riempimento del vuoto. Persino aprirsi alle relazioni intime e autentiche può rappresentare un passo necessario per superare la fame emotiva, anche se il primo passo può apparire spaventoso. Insomma, eliminata la paura, si deve provare a lanciarsi tra le braccia delle cose vere, con coraggio.
È un concetto semplice, ma realistico: ognuno merita l’amore che dà.
Cinque consigli della psicologa:
- VIETATO L’ACCESSO. Non acquistare comfort food, “non far entrare” in casa alimenti non sani, troppo dolci o molto grassi. Evitare di portare nella propria dispensa ciò che si vorrebbe nei momenti di fame emotiva.
- RICONOSCIMENTO EMOTIVO. Prendersi del tempo per capire cosa si prova, senza paura di guardarsi dentro. Si può creare un diario alimentare emozionale. Osservare le proprie emozioni è fondamentale. Riconoscerle, regolarle, gestirle, aiuta ad accettare la propria emotività.
- SANE ABITUDINI. Meditare, cantare, fare attività fisica, seguire le proprie inclinazioni artistiche, fa molto bene per esprimere le proprie emozioni. Avere compassione di se stessi, accettarsi e concentrarsi sulle sensazioni corporee, aiuta a distinguere la fame emotiva da quella fisiologica.
- CONSAPEVOLEZZA ALIMENTARE. Per limitare comportamenti alimentari impulsivi è utile un’alimentazione consapevole, attraverso alcuni spunti meditativi sulla creazione di piatti colorati, con cibi disposti in un certo modo, da masticare e gustare lentamente, respirando e stando concentrati solo sul pasto. Un’immersione totale nel momento presente.
- VERSO IL BENESSERE. Accettare anche le emozioni negative può essere la giusta via verso il benessere. Si può chiedere aiuto e iniziare un percorso di psicoterapia. Magari integrando degli incontri con un esperto della nutrizione, il quale potrà indicare un corretto regime alimentare, includendo nella dieta anche cibi che possano stimolare la produzione di serotonina e dopamina, importanti neurotrasmettitori coinvolti nel benessere psicofisico.
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