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ToggleGiornalista d’assalto a “Le Iene” e scrittore introspettivo e sensibile: Filippo Roma ci parla del suo nuovo libro “Si ami chi può” e svela lati inediti della sua intimità.
Filippo Roma è noto al grande pubblico come l’inviato pungente e irriverente de Le Iene, capace di smascherare ingiustizie e ipocrisie con ironia e determinazione. Ma dietro il giornalista d’assalto si nasconde anche un narratore sensibile, capace di esplorare le fragilità umane attraverso la scrittura. Nel suo nuovo romanzo, Si ami chi può, Roma racconta un viaggio fisico ed emotivo tra una madre e un figlio, fatto di segreti, riconciliazioni e ricerca del perdono. In questa intervista ci svela quanto di sé ha messo nella storia, le sfide del suo lavoro e la sua visione delle relazioni umane.
Ha esplorato temi universali

Quanto c’è di autobiografico in questa storia?
«Ci sono elementi che rimandano alla figura di mia madre. Ovviamente la trama del viaggio e della riconciliazione è frutto della fantasia, ma la malattia e la riflessione su di essa… quella è vita vissuta».
Anita e Lorenzo, i protagonisti del libro, affrontano temi come il tradimento, il senso di colpa e la ricerca del perdono. Come è nato in lei il desiderio di esplorare queste tematiche così profonde e universali?
«Sono tematiche che mi permeano dentro. Sono temi che sento miei, che mi appartengono. Io stesso sono alla ricerca di risposte e del perdono».
In che senso? Si parla di un tradimento…
«Ho tradito e ho chiesto perdono».
E il perdono è arrivato?
«Ho bisogno di essere perdonato. Ma il perdono non dipende da noi, è una scelta di chi deve concederlo, una tensione costante. La cosa a cui tendo, però, è la riconciliazione. Spero sempre che sia possibile».
Anita desidera liberarsi da un antico senso di colpa prima di morire. Lei come affronta il tema del perdono verso se stesso? Si è perdonato?
«È una domanda da un milione di dollari. Io sono molto severo con me stesso. Tendo a non perdonarmi e, purtroppo, non mi assolvo mai».
Nel corso del viaggio, madre e figlio incontrano personaggi di varia umanità che li aiutano a crescere e a comprendersi meglio. C’è stato un incontro nella sua vita che l’ha particolarmente segnata?
«Sì, ce ne sono stati diversi, sia a livello esistenziale che professionale. Nel mio caso, sono state fondamentali le persone che hanno visto in me qualcosa che io stesso non intravedevo e mi hanno dato fiducia».
Lorenzo, attraverso il viaggio, arriva a comprendere la natura del suo amore per Giulia, la sua amante. Nella sua esperienza personale, ha mai vissuto momenti di illuminazione simili riguardo ai suoi sentimenti o alle sue relazioni?
«Sì, l’ho vissuto. Ma non voglio aggiungere altro perché si tratta di una sfera molto privata».
La sua carriera come inviato de Le Iene l’ha portata a confrontarsi con numerose storie di vita reale. In che modo queste esperienze hanno influenzato la sua narrativa e la caratterizzazione dei personaggi nei suoi romanzi?
«Tantissimo. In vent’anni ho raccontato storie sparse per l’Italia che mi hanno fatto entrare nella dimensione più autentica dell’essere umano. Le Iene ti costringono a confrontarti con il dolore altrui, con le ingiustizie. Questa è la benzina che alimenta la mia narrativa».
Nessuno si salva da solo

Il viaggio nel libro è anche un viaggio interiore per i protagonisti. C’è un luogo o un viaggio che, nella sua vita, ha rappresentato una svolta o una profonda riflessione personale?
«Sì, il viaggio dell’anno della maturità, quando avevo 18 anni. Partii con Alessandro Sortino, oggi mio collega a Le Iene, che era il mio migliore amico. Doveva essere un viaggio di puro divertimento, ma proprio lì ho capito cosa volessi fare nella vita».
Anita e Lorenzo affrontano il tema della morte imminente. Come autore, quale messaggio spera di trasmettere ai lettori?
«Che non ci si salva da soli. Abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a sciogliere i nodi interiori. E che il modo migliore per amare le persone più care è dire loro la verità, anche quando è una verità scomoda, brutta o difficile. È ciò che ci rende liberi ed è una forma di rispetto».
Guardando al futuro, quali altre tematiche o storie vorrebbe esplorare nei suoi prossimi lavori letterari?
«Non ho ancora un progetto preciso. Con Si ami chi può ho affrontato i temi per me cari, avevo un’urgenza di affrontarli. Al momento non ho particolari urgenze».
A Le Iene affronta la realtà con ironia e provocazione, mentre nei suoi romanzi la narrazione è più intima ed emotiva. Qual è il lato di Filippo Roma che prevale nella vita privata?
«Si intrecciano entrambi. Probabilmente prevale il mio lato ironico, perché lo pratico di più. Anche nei servizi più seri cerco sempre di affrontare tutto con un’ironia scanzonata».
Le sue inchieste hanno mai creato problemi o situazioni di pericolo?
«Minacce no, ma qualche schiaffone e cazzotto sul momento sì, l’ho preso. Fa parte del gioco, ma amo il mio lavoro e, dopo ventuno anni, continuo ad affrontarlo con lo stesso entusiasmo del primo giorno».
C’è un’inchiesta che l’ha segnata più di altre?
«Sì, quella del 2018 sui falsi rimborsi dei 5 Stelle. Mostrò un aspetto inedito: anche tra i “puri” c’erano mele marce. Mi colpì molto, perché mi fece riflettere sulla fragilità della moralità umana. Si erano presentati come coloro che avrebbero elargito al popolo i soldi dei rimborsi che spettano ai parlamentari, e invece… E mi chiesi: ‘Se fossi io al potere, riuscirei a mantenere dritta la barra della moralità o cadrei in tentazione?’».
E cosa si è risposto?
«Non lo so. Ho sempre combattuto per la legalità, quindi oggi risponderei: “sì, ci riuscirei!”. Ma ho visto che la tentazione dei privilegi mette alla prova chiunque».
A caccia del “doppio” e del “non detto”

Nei suoi racconti, così come nelle inchieste, emerge spesso il tema della doppia vita. Crede che la società di oggi sia più incline a nascondere parti di sé?
«Assolutamente sì. Viviamo nell’epoca della sovraesposizione, ma spesso la stessa sovraerspozione sui social è solo una messinscena. È una finta trasparenza dove quello che vediamo non corrisponde a ciò che è reale. Abbiamo avuto molti esempi di famiglie che sui social apparivano perfette e invece non lo erano. Il doppio è ovunque. E il “non detto”, spesso, è ciò che tiene in piedi molti rapporti, anche familiari».
E lei ha una verità nascosta?
«In questo momento no, mi sono liberato del non detto».
Ma lei si sente più a suo agio nei panni del giornalista che smaschera il non detto o in quelli dello scrittore che scava nell’anima?
«Decisamente nei panni dell’inviato».
Un’ultima domanda: Le Iene hanno avuto molte conduttrici nel corso degli anni. Cosa pensa di loro?
«Ilary Blasi era solare e autoironica, sapeva stare al gioco. Prima di lei c’era stata Alessia Marcuzzi, molto simpatica. Belen Rodriguez ha portato una ventata pop: credo che sia stata in assoluto la conduttrice più famosa che abbiamo avuto. Veronica Gentili, invece, è la sintesi perfetta, la conduttrice ideale per il programma: una grande giornalista, una persona di carattere e simpatica e anche una bella donna. Le altre erano tutte molto belle e simpatiche, ma non erano giornaliste».

Un percorso nei sentimenti
In un’estate infuocata, Anita e Lorenzo, mamma e figlio, partono per un ultimo viaggio insieme. Lei sta morendo, lui l’accompagna senza sapere che quel tragitto sarà un confronto con il passato. Un segreto li divide: Anita ha scoperto il tradimento del figlio, ma anche lei ha tradito il marito anni prima. Il viaggio diventa un percorso di confessioni e riconciliazione, tra incontri inattesi e verità mai dette. Mentre Anita si libera dal senso di colpa, Lorenzo capisce che il suo amore per Giulia, l’altra donna, è irreversibile.
Un curriculum trasversale
Filippo Roma ha seguito percorsi diversi, ma per certi versi complementari, mettendo a frutto un mix perfetto tra la sua formazione in economia e la successiva carriera nel giornalismo e nella scrittura. «Sono mondi diversi – ha detto - ma intrecciati. Ho fatto il liceo classico, poi mi sono laureato in Economia. Oggi attingo da entrambe le sfere: "Le Iene" mi permettono di raccontare la realtà in modo nudo e crudo, mentre la scrittura fa l’esatto opposto e mi dà la libertà della finzione».
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