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ToggleDue telefonate, uno scontrino, tre perizie. Così si è arrivati alla riapertura del caso Chiara Poggi, per cui era già stato condannato con sentenza definitiva Alberto Stasi. E ora il prelievo coattivo del DNA di Andrea Sempio provoca un “terremoto” mediatico e giudiziario
Diciotto anni ormai quasi trascorsi. Due sentenze, l’ultima delle quali (in teoria) definitiva. Libri più o meno esaustivi, approfonditi articoli di giornale e trasmissioni televisive con analisi delle prove fatte dai massimi esperti. Eppure il cosiddetto “Delitto di Garlasco” continua a dare l’idea di un mosaico cui manca qualche tessera importante, un puzzle che, da qualche parte, ha smarrito dei tasselli fondamentali.
Era il 13 agosto del 2007, quando a Garlasco, paesino della Lomellina in provincia di Pavia, Chiara Poggi, ragazza 26enne laureata in economia, fu ritrovata senza vita nella villetta di famiglia, in via Pascoli. A finire subito sotto la lente d’ingrandimento degli investigatori fu il suo fidanzato, Alberto Stasi, studente di economia della Bocconi, 24enne all’epoca e oggi 41enne, che alla fine di un complicato iter processuale, nel 2014 fu ritenuto colpevole dell’omicidio e condannato a 16 anni di reclusione. Stasi sta attualmente scontando la sua condanna nel carcere di Bollate, in attesa di poter uscire, forse, per buona condotta nel 2028. In mezzo a questi due fatti inconfutabili (l’omicidio, la condanna) vi è un velo fitto di misteri e colpi di scena degno di un thriller hollywoodiano.
Come si è arrivati alla riapertura delle indagini
Il colpo di scena più recente era stata la richiesta, da parte della Procura di Pavia, guidata dal Procuratore Fabio Napoleone, dall’aggiunto Stefano Civardi e dalla Sostituta Valentina De Stefano, in qualità di PM, di riaprire le indagini sul caso. Richiesta accolta, contro il parere del GIP, lo scorso 12 dicembre 2024, da parte della V sezione penale della Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Maurizio Fumo.
Una riapertura del fascicolo passata quasi in sordina, ma che ha consentito agli investigatori di lavorare sottotraccia nelle scorse settimane con nuove tecniche avanzate e ha portato al coup de théâtre di questi giorni: l’iscrizione nel registro degli indagati, con conseguente avviso di garanzia, per concorso in omicidio con Stasi o ignoti, ad Andrea Sempio – amico ed ex compagno di scuola del fratello di Chiara, Marco Poggi – e la relativa richiesta di analisi del suo DNA.

Sempio era già finito in precedenza sotto i riflettori degli inquirenti: il 18 agosto del 2007, poco prima dei funerali di Chiara, era stato convocato in Procura insieme ad altri tre amici di Marco; soprattutto, nel 2016 una perizia di parte aveva riscontrato la presenza di DNA maschile non appartenente ad Alberto Stasi e teoricamente compatibile con il suo intorno alle unghie della ragazza. Tuttavia, gli esami di allora non consentivano sufficiente accuratezza nel determinare una corrispondenza e d’altronde anche il DNA risultava esser stato raccolto con modalità ritenute non compatibili con un procedimento giudiziario. Così la perizia genetica depositata dai legali di Stasi in cui si riconducevano le tracce di DNA rinvenute sotto le unghie di Chiara Poggi a quello di Sempio, fu ritenuta per questo motivo inadeguata e la posizione di Sempio e l’intera richiesta di riapertura delle indagini in base a questi elementi erano state archiviate nel 2017 dall’allora Pubblico Ministero Mario Venditti.
Adesso però, la richiesta di analizzare il DNA di Sempio è partita proprio dalla Procura. Una richiesta cui Sempio in prima battuta si è opposto, rifiutando di fornirlo volontariamente, ma alla quale il 37enne, oggi commesso in un negozio di telefonia nei pressi di Voghera, ha dovuto aderire coattivamente ieri mattina, per ordine del GIP, recandosi presso la caserma Montebello, sede della Scientifica dei Carabinieri di Milano, dov’è rimasto per circa un’ora, assistito dagli avvocati Massimo Lovati e Angela Taccia, prima di allontanarsi senza rilasciare dichiarazioni ai numerosi cronisti lì presenti.

Le anomalie
Ci sono almeno due anomalie in quanto accaduto negli ultimi giorni.
La prima: il fascicolo sull’omicidio Poggi è stato riaperto nonostante una sentenza passata in giudicato.
La riapertura delle indagini chiesta e ottenuta dalla Procura, va specificato, allo stato delle cose, non mira minimamente a mettere in discussione la colpevolezza di Stasi e la relativa sentenza che lo riguarda, ma a identificare eventuali coautori del delitto. L’ipotesi sostenuta nella richiesta di riapertura del caso è che Stasi non abbia agito da solo, ma in concorso con un’altra persona, le cui tracce biologiche sarebbero sulla scena del crimine. È un fascicolo parallelo, che non annulla la condanna di Stasi, ma potrebbe condurre a una revisione se emergessero prove decisive. È comunque interessante notare che Sempio venga iscritto nel registro degli indagati “per concorso in omicidio con ignoti o con Alberto Stasi”. Sarà pure mero formalismo giuridico, ma comprendere nella dicitura tutte le fattispecie possibili, anche quella, inconcepibile alla luce di una sentenza definitiva, di un non coinvolgimento di Stasi (l’uso di una proposizione disgiuntiva “o”, invece di una copulativa, “e”) serve proprio a proteggere dal punto di vista giuridico gli esiti delle indagini da qualsiasi sorpresa dovesse emergere.
La seconda: a muoversi per far riaprire le indagini non sono stati, questa volta, né avvocati né periti di parte, bensì, come detto, la stessa Procura. Una iniziativa che, in un certo senso, fa da ideale seguito e contrappunto alla richiesta di annullamento, con preferenza per il rinvio, che fu fatta nel 2015 dal Sostituto Procuratore Generale Oscar Cedrangolo, ossia colui che avrebbe dovuto rappresentare l’accusa, ai giudici della Corte di Cassazione che dovevano decidere se annullare o confermare la sentenza della Corte d’Appello di un anno prima.
E proprio qui si innesta la considerazione con cui si è aperto questo articolo. Alberto Stasi fu infatti assolto in primo grado nel 2009 e, ancora, in appello nel 2011. Due anni dopo, tuttavia, la Cassazione annullò la sentenza facendo ripartire l’iter e, nel 2014, l’appello bis lo condannò, come detto, a 16 anni per omicidio volontario, pena poi confermata a distanza di un anno dalla Cassazione. La Corte parlò, allora, di “un mosaico di indizi” che convergeva sulla sua colpevolezza “oltre ogni ragionevole dubbio”.
E invece, proprio dopo la sentenza – se non di dubbi – di incongruenze e di tasselli mancanti al mosaico cominciano a emergerne diversi.

Gli eventi del 2007: il delitto e la telefonata di Stasi
Ripartiamo dai fatti di allora. Intorno alle 13.50 del 13 agosto 2007 il 118 di zona riceve una chiamata d’emergenza. È Alberto Stasi, che informa che nella villetta di famiglia dei Poggi una persona forse è stata uccisa. “C’è sangue dappertutto”.
Proprio quella telefonata è stata più volte vivisezionata per il suo contenuto, al pari del comportamento dello studente della Bocconi e delle sue dichiarazioni successive. Alberto Stasi, infatti, secondo quanto lui stesso dichiara ai Carabinieri nell’immediatezza del delitto, nel momento in cui si rende conto che la sua fidanzata è riversa sulle scale che conducono al seminterrato in una pozza di sangue, si muove sì “sulla scena del crimine” per capire cosa è successo, ma poi non si precipita verso di lei per, magari, provare a portare soccorso, bensì corre a telefonare al 118 e poi direttamente dai Carabinieri. Secondo chi indaga, inoltre, a una prima apparenza, i vestiti del giovane “sono troppo poco insanguinati” per essere compatibili con le azioni di un ragazzo che scopre un cadavere di una persona cara e si muove nella sua prossimità.
All’epoca si suggerì l’ipotesi che Stasi potesse avere avuto modo di cambiarsi ed essere tornato apposta sul “luogo del delitto” in un momento successivo per inscenare il ritrovamento: è improbabile, la tesi dei colpevolisti, che in quella situazione non ci si bagni del sangue dell’amata, sia pur per un inutile tentativo di verificare se possa esserci ancora speranza che sia ancora viva, prima di qualsiasi telefonata, prima di tutto. Né vennero riscontrate tracce rilevanti di sangue sulle sue scarpe (o, viceversa, impronte rilevanti delle scarpe sul sangue della vittima), nonostante il ragazzo avesse affermato di aver camminato nelle vicinanze del corpo.
Il comportamento così razionale, quasi freddo, di Stasi, complice anche un atteggiamento poco empatico in alcune circostanze, ha inoltre sicuramente contribuito a dipingerne un tratto psicologico incline alla freddezza nella mente di tutti coloro che hanno dovuto indagare su di lui e giudicarlo.
Quanto al delitto in sé, le indagini stabilirono quasi immediatamente che la ragazza era stata colpita al cranio da colpi inferti con un oggetto contundente, forse un martello, mai ritrovato. Chiara, rinvenuta in pigiama, sarebbe morta indicativamente tra le 9:00 e le 11:35. L’assenza di segni di effrazione e il fatto che Chiara avesse disattivato l’antifurto alle 9:12 suggeriscono che potesse conoscere il suo assassino, a cui aprì spontaneamente la porta “con naturalezza” nonostante avesse indosso il pigiama.
Gli indizi di colpevolezza che portarono alla condanna
Al di là delle impressioni, a carico di Alberto Stasi furono raccolti diversi indizi. Stasi asserì di aver lavorato tutta la mattina alla sua tesi di laurea, di aver chiamato Chiara senza risposta, e di aver poi deciso di andare di persona alla villetta, trovando a quel punto il corpo della ragazza, ma invece di provare a soccorrerla, appunto, era corso indietro per chiamare aiuto, preso da una sensazione di panico. Il suo racconto venne definito immediatamente contraddittorio, in alcuni punti, e in seguito, durante il dibattimento dei vari processi, addirittura “assimilabile a quello dell’aggressore piuttosto che a quello dello scopritore”.
Nel tempo, emergono altri indizi: un’impronta sul dispenser del bagno, il DNA compatibile con quello di Chiara rinvenuto sui pedali di una bici con cui Stasi si sarebbe allontanato dopo il delitto, secondo le ricostruzioni accusatorie, e il suo computer che mostrava attività dalle 9:35 alle 12:20, lasciando però un buco di 23 minuti (rispetto alla disattivazione dell’antifurto a casa Poggi alle 9:12): un lasso di tempo ritenuto, in ipotesi, sufficiente a commettere il delitto.
Riguardo al movente, i giudici ipotizzarono che Chiara, avendo scoperto delle foto “hot” sul pc di Stasi, potesse essere diventata “una presenza scomoda” per il ragazzo.
Tutti questi indizi portarono, dopo le iniziali assoluzioni e i vari annullamenti dei precedenti processi, alla sentenza definitiva di colpevolezza del 2014/15. La condanna che lo proclamò colpevole “oltre ogni ragionevole dubbio” fu, tuttavia, l’esito di un processo meticoloso e in cui fu fatto pelo e contropelo alle dichiarazioni di Stasi, ma solamente indiziario, durante il quale gli stessi giudici della Cassazione ebbero modo di sottolineare che le indagini furono “caratterizzate da errori e superficialità”.
Persino i RIS che analizzarono la villetta subito dopo il delitto vi entrarono dopo che già almeno una ventina di persone ne aveva varcato la soglia, il che rendeva i loro accertamenti “non affidabili” secondo lo stesso Procuratore Generale della Cassazione.

La figura di Andrea Sempio: lo scontrino e le telefonate
In tutto questo, la famiglia Poggi, fin da quando Alberto Stasi è diventato il primo sospettato e poi sempre di più, ovviamente, nei successivi passaggi, è stata convinta della sua responsabilità. Una convinzione, si dice, rafforzata anche da una sorta di mancanza di empatia del ragazzo nei loro confronti e nei confronti del ricordo di Chiara nelle comunicazioni tra loro nelle settimane e nei mesi successivi al delitto.
La tesi della colpevolezza è invece sempre stata rigettata con forza dalla madre di Stasi, Elisabetta Ligabò. Fu anche per sua iniziativa che nel 2016 prese le mosse l’indagine privata che aveva spinto i periti di Stasi a presentare una prima perizia genetica che coinvolgeva Sempio. Il DNA di quest’ultimo era stato prelevato “di nascosto” da una tazzina di caffé, un cucchiaino e una bottiglietta d’acqua all’interno di un bar da un detective privato assoldato dalla famiglia Stasi e dallo studio legale che li rappresentava.
E, tuttavia, vi erano anche altri elementi che avevano sollevato più di qualche dubbio, a quel punto, tra gli stessi investigatori. In primis, le telefonate a casa Poggi che Sempio effettuò tra il 4 e l’8 agosto. Soprattutto due, quelle del 7 e dell’8, quando la famiglia Poggi, compreso Marco, era in vacanza in Trentino e in casa c’era solo Chiara, entrambe, peraltro, di durata molto breve (una addirittura durata appena due secondi). Telefonate che fanno sospettare un motivo di interesse diretto verso la ragazza. Che motivo avrebbe avuto di chiamare a casa di Chiara, sapendo che il suo amico Marco non c’era?
In più, le celle di telefonia e i tabulati telefonici localizzerebbero anche Sempio in quel di Garlasco nelle ore del delitto. Il che non combacia con l’alibi fornito all’epoca dal ragazzo, alibi che, di per sé, costituirebbe già una “stranezza”.
Nel 2008, oltre un anno dopo il delitto, Sempio aveva infatti esibito sua sponte ai Carabinieri lo scontrino di un parcheggio di Vigevano in zona Palazzo Ducale, datato 13 agosto 2007 alle ore 10:18, per provare che nell’arco temporale in cui si consumò l’omicidio di Chiara, lui era lontano.
È ipotizzabile che una persona innocente, sia pur per scrupolo e per premunirsi, conservi una prova che lo scagiona per le ore e il giorno del delitto per poi produrla al momento opportuno quattordici mesi dopo, quando il destino di ogni tagliando di parcheggio, nell’esperienza comune, è il cestino della carta straccia appena terminata la sua utilità?
Una “razionalità” che quantomeno fa il paio con quella della telefonata e del comportamento di Stasi immediatamente dopo il ritrovamento del cadavere.
Le nuove perizie
A prescindere da ipotesi e suggestioni, la chiave di volta della svolta nelle indagini è una nuova perizia sulle tracce del Dna scartate all’epoca dai magistrati, che è stata presentata nel 2024 dai legali di Alberto Stasi, Giada Bocellari e Antonio De Renzis, e firmata in maniera indipendente da due genetisti di fama: il professor Lutz Roewer dell’Università di Berlino e il professor Ugo Ricci, consulente di genetica forense dell’Università di Careggi-Firenze.
L’aspetto rilevante che ha “scardinato” le certezze giudiziarie è che la Procura di Pavia non si sia mossa su queste pur importanti consulenze, ma abbia prodotto, a sua volta, una propria terza perizia indipendente, che ne ricalcava le conclusioni.
Di qui, la richiesta di riaprire il caso, alla fine accolta dalla Cassazione, con conseguente riapertura del fascicolo d’indagine e con l’iscrizione nel registro degli indagati di Sempio.
Quanto ad Andrea Sempio, si è detto “allibito” dalle ultime evoluzioni giudiziarie. Marco Poggi, fratello di Chiara, lo ha sempre “difeso”, sostenendo che è sempre rimasto vicino a lui e alla famiglia in questi anni. Così anche i familiari di Chiara e tutti i concittadini di Garlasco, che ritenevano la vicenda ormai conclusa. Se però l’analisi del profilo genetico stabilisse che i residui di DNA trovati sotto le unghie della ragazza sono compatibili con il suo, questo complicherebbe non poco la posizione del ragazzo.
Le recenti perizie che hanno portato alla riapertura delle indagini hanno stabilito che il DNA rinvenuto sotto le unghie di Chiara dovrebbe risultare tuttora sufficientemente stabile e non degradato, così da poter effettuare una comparazione. Inoltre, il DNA, sia quello rinvenuto sotto le unghie di Chiara Poggi già in possesso della Procura, sia quello prelevato a Sempio, può al giorno d’oggi essere studiato con nuove tecniche di analisi: in particolare un software che può fornire una corrispondenza percentuale scientificamente provata tra i due DNA e non si limita a indicarne il genere o ad appoggiarsi a un’expertise soggettiva sia pur professionale.
La situazione di Sempio, dunque, parrebbe al momento in bilico, appesa al filo di un esame scientifico, tanto che i suoi legali avrebbero già chiesto un incontro con la PM Valentina De Stefano per valutarne la posizione.
Per contro, se il DNA di Sempio dovesse risultare non corrispondente a quello trovato sul corpo di Chiara, nessuno potrebbe ricompensare il 37enne dall’aver dovuto affrontare un simile tritacarne mediatico, mentre la Procura di Pavia, pur potendo sostenere di non aver voluto lasciare nulla di intentato nella ricerca della verità, potrebbe dover dar conto della sua presa di posizione.

Per Stasi, invece, al momento non cambia nulla. «Sono innocente e so aspettare: ho fiducia nella giustizia per Chiara», ha dichiarato, tramite la sua legale, Giada Bocellari. In tutti questi anni si è sempre dichiarato innocente. Nel frattempo prosegue il suo percorso di “redenzione”: nel 2018 raggiunse un accordo con la famiglia Poggi per un risarcimento di 700.000 euro, metà dei quali sono stati già versati, grazie anche ai guadagni del lavoro di contabile che svolge in un’azienda milanese, con permessi diurni negli ultimi due anni. La condanna scadrebbe nel 2030, ma potrebbe uscire due anni prima invocando la buona condotta. L’avvocata Bocellari lo descrive come “razionale e fiducioso nella verità”, ma i legali per il momento stanno evitando di compiere una nuova richiesta di revisione del processo, in attesa degli esiti dell’esame del DNA di Andrea Sempio e anche che vengano definiti meglio i contorni di altri indizi, come alcune impronte di sangue per ora ignote lasciate sulle pareti della casa e i residui di capelli rinvenuti nel lavandino, certamente non appartenenti né a Stasi né a Chiara. D’altronde brucia ancora l’ennesimo buco nell’acqua di poco di più di un mese fa, quando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo aveva respinto il ricorso per l’annullamento della condanna, definendolo “irricevibile”.
Rimane, in sottofondo, il retrogusto amaro di una vicenda ancora piena di lati oscuri e trattata, fin dall’inizio con tanta, tanta superficialità, che non ha contribuito a rendere del tutto intellegibili gli eventi che hanno portato all’uccisione della povera Chiara Poggi. Il percorso processuale che ha condotto alla sentenza di colpevolezza definitiva di Stasi, e che incontra il desiderio della famiglia di Chiara Poggi di mettere un punto a ciò che accadde quella mattina di agosto di diciotto anni fa, continua a lasciare zone grigie che vanno chiarite, in un modo o nell’altro. Davvero “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Perché la memoria di una ragazza brillante e dal sorriso solare, che ha lasciato troppo presto questo mondo e i propri cari, possa finalmente trovare pace.

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