
In questo articolo
ToggleIl fondatore ed ex garante del Movimento 5 Stelle è pronto a dare battaglia legale al leader Giuseppe Conte per riappropriarsi del nome e del simbolo del partito.
La guerra tra Beppe (Giuseppe Grillo) e Giuseppe Conte sembrava essere finita quando l’assemblea costituente del M5S, lo scorso novembre, aveva estromesso di fatto Grillo dal partito cancellando dallo statuto la figura del Garante e superato l’ultimo tabù grillino, quello del limite del secondo mandato. Il leader Conte aveva trionfato e si era sbarazzato una volta per tutte dell’ingombrante fondatore che, dal canto suo, si era congedato con un «Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte», a cui aveva fatto seguire il video del carro funebre per celebrare le esequie della sua creatura politica. «Vedere questo simbolo rappresentato da queste persone mi dà un senso di disagio. Fatevi un altro simbolo. Il Movimento è stramorto, ma l’humus che c’è dentro no», aveva poi commentato Grillo all’indomani della votazione che aveva abolito il suo ruolo.
Sono seguiti mesi di silenzio ma, a quanto pare, il fuoco non ha ma smesso di covare sotto la cenere e ora la faida pentastellata potrebbe deflagrare di nuovo rischiando di finire in tribunale.
Sì, perché Beppe Grillo sembra deciso a non mollare ed è pronto a dare battaglia legale per riprendersi il simbolo e il nome del Movimento 5 Stelle, data la sempre maggiore distanza tra i valori del Movimento e l’agire della attuale dirigenza.
L’obiettivo di Grillo

L’obiettivo immediato di Beppe Grillo è di impedire che quello che i grillini “puri” chiamano «il partito di Conte» possa presentare le liste con lo storico logo pentastellato ai prossimi appuntamenti elettorali. A partire già dalle regionali di autunno nelle Marche e in Veneto, Toscana, Puglia e Campania.
L’intenzione del fondatore Grillo sembra essere quella di mettere i bastoni tra le ruote all’ex Premier sperando in un Tribunale che gli inibisca l’uso del simbolo alle prossime elezioni regionali, costringendolo di fatto a trovare un nuovo nome e un nuovo logo per il suo partito. Nessuno o quasi, invece, crede che Grillo cerchi di riappropriarsi della sua creatura politica per dar vita a un nuovo partito e scendere di nuovo in campo (diciamo quasi perché l’ipotesi che Grillo, una volta riappropriatosi del simbolo, decida di correre con qualche pentastellato della prima ora, non può essere esclusa del tutto).
Certo è che la mossa segnerebbe l’inizio di una nuova fase di tensione tra il fondatore ed ex garante Grillo e la leadership attuale del Movimento legata a Giuseppe Conte.
Secondo le indiscrezioni, Grillo si sarebbe affidato a due avvocati milanesi: Matteo Gozzi dello studio Danovi e Giulio Enea Vigevani dello studio Melzi d’Eril Vigevani. Vigevani è professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, editorialista del Sole 24Ore, mentre Gozzi insegna Diritto processuale civile progredito nello stesso ateneo.
Le ragioni del padre fondatore

Da un punto di vista giuridico, il ricorso di Grillo si basa su una sentenza del 2021 della Corte d’appello di Genova, che stabiliva la titolarità dell’uso del logo in capo al solo Grillo, seppure esistano tre diverse associazioni con il nome del M5s. La prima, fondata nel 2009 da Grillo e Gianroberto Casaleggio, la seconda creata nel 2012 da Grillo con sede a Genova e la terza, del 2017, fondata da Luigi Di Maio e Davide Casaleggio.
Lorenzo Borrè, storico avvocato dei dissidenti pentastellati, ha dichiarato all’Adnkronos: “Esistono tre diverse, seppur omonime, associazioni, ma proprio la Corte d’appello di Genova, all’esito di un’azione proposta dal curatore originale del simbolo, ha dichiarato che Grillo è l’unico titolare del diritto di utilizzo del contrassegno e del nome Movimento 5 Stelle. Se così non fosse – conclude Borrè – non si spiegherebbe il contratto di manleva”.
Il problema della manleva

Il contratto con cui Grillo riceveva dal M5S 300mila euro annui per la sua attività di comunicazione è stato rescisso nei mesi scorsi, rimane valida e operante la scrittura privata con cui Grillo si è impegnato a non promuovere «alcuna contestazione» nei confronti del M5S per quanto riguarda l’uso del nome e del simbolo, anche se in futuro il logo sarà modificato «in tutto o in parte». La contropartita per Grillo – che si è impegnato anche a «non prestare collaborazione funzionale e/o strutturale ad altre associazioni che hanno quale finalità quella di svolgere attività in contrapposizione e/o concorrenziale» – è proprio la manleva garantita dal movimento che lo solleva dalle conseguenze patrimoniali derivanti da eventuali cause giudiziarie. Chiaramente l’esistenza di questa scrittura privata, che non ha limite temporale, rappresenta il primo ostacolo per Beppe Grillo che, tuttavia, ha già evidentemente messo in conto di rinunciare alla manleva («le cause ormai sono pochissime», avrebbe confidato nelle scorse settimane ai fedelissimi). Inoltre, paradossalmente, secondo l’avvocato Borrè questa scrittura privata rappresenterebbe essa stessa la prova evidente che nome e simbolo appartengono proprio a Grillo: «Se il simbolo fosse del partito di Conte, infatti, perché riconoscere un corrispettivo per la non contestazione del diritto di utilizzo del contrassegno? E siamo proprio sicuri sicuri che il contratto blinda l’associazione? La prima certezza del Diritto, per chi lo pratica, è che non ci sono certezze assolute», ha commentato Borrè.
La reazione di Giuseppe Conte e dei 5 Stelle

Che cosa ne pensa l’altra parte della barricata? I 5 Stelle, dal canto loro, fanno muro e parlano di «prerogative infondate». Dal quartier generale di Conte nessuno parrebbe scomporsi e tutti si professano «assolutamente tranquilli». «Se e quando dovesse esserci questa nuova iniziativa giudiziaria leggeremo le carte e i nostri avvocati risponderanno a tono», dichiarano fonti vicine al leader, convinte della «solidità» delle ragioni giudiziarie del Movimento. «Per noi il simbolo appartiene all’associazione, non a una singola persona», aggiungono, ricordando poi l’esistenza della scrittura privata tra leader e fondatore che impegnava il secondo a non fare contestazioni su nome e simbolo. E poi, avverte lo stesso Giuseppe Conte: “Non è una questione che mi riguarda, io mi occupo di politica. Le questioni giudiziarie le trattano i miei avvocati e fin qui con me non hanno mai perso una causa“.
Un pronostico difficile

La questione è spinosa e non è per nulla semplice prevedere l’esito di questa guerra legale: se da una parte, infatti, Grillo può rivendicare la proprietà del simbolo, Conte ha dalla sua non solo la famosa scrittura privata di cui sopra, ma anche il fatto che la giurisprudenza negli ultimi anni tende a non considerare più i simboli dei partiti come dei marchi aziendali, ma piuttosto appartenenti per loro natura alla comunità degli iscritti e dei simpatizzanti. Come sostiene il costituzionalista Salvatore Curreri, esperto di diritto dei partiti: «La tendenza a registrare i simboli dei partiti come marchi è contrastata sia a livello ministeriale, perché in contrasto con la normativa vigente in materia di proprietà industriale e potenzialmente elusiva della disciplina sull’uso dei contrassegni elettorali, sia a livello giurisprudenziale, dove si ritiene che il diritto di proprietà individuale sul marchio non può sacrificare integralmente il diritto al suo utilizzo da parte di un soggetto collettivo come un partito politico».
A te l'onere del primo commento..