
Il Portogallo vara la prima legge europea contro la violenza ostetrica
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ToggleIl Portogallo pioniere in Europa: è il primo Paese a dotarsi di una legge ad hoc per tutelare i diritti delle donne durante la gravidanza, il parto e il post-parto
Dal primo aprile, il Portogallo ha una nuova legge contro la violenza ostetrica, una legge che mira a tutelare i diritti delle donne durante la gravidanza, il parto e il post-parto. L’obiettivo dichiarato è quello di difendere l’integrità fisica, psichica ed emozionale di chi vive la maternità, garantendo un’assistenza basata sul consenso informato, sul rispetto della dignità e sull’accesso a informazioni chiare e comprensibili.
In particolare, la legge si concentra su pratiche di routine come l’episiotomia di routine, la tricotomia, la somministrazione forzata di ossitocina e la manovra di Kristeller, oltre che sul diritto della neomamma di scegliere liberamente se e come allattare.
Nel Paese iberico la “lei 33/2025” è nata dall’unione di due proposte legislative presentate dal Bloco de Esquerda (BE) (che significa “Blocco di Sinistra” in portoghese e indica un partito politico socialista, ecologista e anticapitalista fondato nel 1999), e dal partito ambientalista PAN (acronimo di “People-Animals-Nature”, fondato nel 2009). Attualmente la legge è stata pubblicata sul “Diàrio da Repùblica” e, in attesa dei decreti attuativi, entrerà in vigore quando sarà approvato il prossimo bilancio dello Stato.
A pochi giorni dalla sua approvazione però il testo di legge è stato già oggetto di fortissime polemiche, sia da parte dell’Ordine dei Medici, sia da parte delle associazioni femministe che, pur definendola “un passo in avanti”, ne hanno messo in luce quelli che a loro avviso costituiscono dei punti deboli.
Cosa si intende per violenza ostetrica? Il contenuto della legge

Secondo la nuova legge, la violenza ostetrica è definita come «qualsiasi atto od omissione da parte di un professionista sanitario che, nel contesto della salute sessuale e riproduttiva, provochi danni fisici o psicologici, limiti l’autonomia decisionale o implichi trattamenti disumanizzanti o degradanti». In questo concetto rientrano anche atteggiamenti verbali, pratiche mediche eseguite senza consenso esplicito, mancata informazione o uso eccessivo di interventi senza motivazione clinica.
Particolare attenzione viene posta sulla questione dell’episiotomia, ossia il ‘taglio’ del perineo, che viene effettuato per allargare l’apertura vaginale e consentire il passaggio del bambino. La nuova legge portoghese colpisce duramente questa pratica e prevede un’indagine disciplinare sui professionisti sanitari che la operano di “routine”, oltre a una sanzione pecuniaria per gli ospedali.
Oltre alla episiotomia, la legge vieta in modo esplicito pratiche sistematiche come la tricotomia (rasatura del pube), la somministrazione forzata di ossitocina (ormone che provoca le contrazioni uterine) e la manovra di Kristeller (spinta a livello del fondo dell’utero per facilitare l’espulsione della testa del feto).
Un altro punto fondamentale è il diritto della persona gestante a scegliere liberamente se e come allattare. L’allattamento al seno viene riconosciuto come raccomandato per la salute del neonato, ma emerge molto chiaramente dal testo normativo che non possa essere imposto alla madre in nessun caso. La legge sottolinea che la promozione dell’allattamento non deve tradursi in pressione psicologica né in giudizi morali verso chi opta per alternative come il latte artificiale. Rientra, infatti, nella definizione di violenza ostetrica anche l’«allattamento forzato», senza tenere conto dello stato fisico, psicologico o delle scelte informate della madre.
Un’altra novità è l’obbligo, per tutte le strutture sanitarie pubbliche e private che assistono la nascita, di affiggere cartelli informativi visibili con l’elenco dei diritti delle partorienti e le modalità per segnalare eventuali abusi. Le pazienti hanno, inoltre, il diritto a essere accompagnate da una persona di fiducia durante tutte le fasi dell’assistenza, compresi esami invasivi o situazioni di emergenza, salvo rischi clinici documentati.
Sanzioni e organi di vigilanza

Per far sì che la “lei 33/2025” non resti lettera morta, sono state previste sanzioni precise.
In particolare, gli ospedali che non si atterranno scrupolosamente alla normativa potranno essere sanzionati economicamente e per i professionisti sanitari coinvolti, sono previsti procedimenti disciplinari.
Inoltre, è stata istituita una “Commissione per i Diritti nella Gravidanza e nel Parto”, composta da esperti in ostetricia, pediatria, etica, giurisprudenza, rappresentanti dei pazienti e delle associazioni. La commissione avrà il compito di monitorare l’applicazione della normativa, promuovere ricerche, stilare un rapporto annuale sulla qualità dell’assistenza e proporre eventuali modifiche legislative. Sarà inoltre coinvolta nella formazione obbligatoria del personale sanitario.
Le reazioni alla legge e le critiche

Non tutti in Portogallo hanno però salutato con favore la nuova legge.
L’Ordine dei Medici, infatti, si è opposto e il presidente Carlos Cortes ha definito la legge «mal concepita» e «uno stigma inaccettabile nei confronti del personale sanitario», sostenendo che il rischio è quello di creare un clima di sospetto e tensione tra pazienti e operatori, scoraggiando la libertà decisionale clinica per timore di denunce. «La legge, così come è scritta, è tecnicamente mal concepita e non si basa su prove scientifiche – queste le parole di Cortes riportate dal quotidiano portoghese Diario de Noticias – stigmatizza il lavoro medico, non rispetta la sua autonomia tecnica e incoraggia una pratica difensiva che potrebbe compromettere il processo decisionale clinico a vantaggio della salute delle donne e dei bambini».
Dello stesso parere anche l’Ordine degli Infermieri che, pur riconoscendo l’intento della legge, chiede maggiori garanzie e risorse per poterla applicare senza compromettere la qualità dell’assistenza.
Una delle principali critiche mosse al legislatore è quella di non aver consultato né i professionisti sanitari per la stesura del testo, né le associazioni di donne, che avrebbero potuto invece dare un contributo valido alla legge.
Soprattutto l’Ordine dei Medici critica il fatto che la legge sia stata approvata proprio “negli ultimi giorni del Parlamento in carica, senza dibattito pubblico, senza che le associazioni scientifiche o coloro che difendono i diritti delle donne in queste materie siano state ascoltate, nemmeno la società civile. Invece di creare un ambiente in cui questo tema potesse essere discusso e la creazione di una legge potesse essere fatta attraverso un percorso di consenso, si è creato un ambiente di indignazione, che non fa bene alle donne in travaglio”.
Insomma, sicuramente in Portogallo ci sarà ancora molto da lavorare per mettere a punto una normativa realmente efficace e soprattutto che scongiuri un “effetto boomerang” nei confronti della salute delle donne e dei bambini, ma il Paese ha doverosamente aperto la strada legislativa in Europa per normare una questione di primaria importanza.
Ma qual è la situazione in Italia?
La situazione nel nostro Paese

Nel nostro Paese il tema della violenza ostetrica non è per nulla un tema “caldo”, anzi se ne parla molto raramente nonostante si tratti di un fenomeno reale, diffuso e altamente impattante sulla salute delle donne, di nascituri e neonati e di tutta la nostra società.
Le donne e il parto, la prima ricerca nazionale sull’argomento che risale al 2017 ed è stata realizzata dalla Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (OVO), ha registrato dati inquietanti.
Una donna su cinque subisce violenze e umiliazioni in sala parto. Stando ai dati emersi dall’indagine (condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane tra i 18 e i 54 anni con almeno un figlio dagli 0 ai 14 anni) “si stimano in circa 1 milione le madri in Italia – il 21% del totale – che affermano di essere state vittime di una qualche forma (fisica o psicologica) di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità. Un’esperienza così traumatica che avrebbe spinto il 6% delle donne, negli ultimi 14 anni, a scegliere di non affrontare una seconda gravidanza, provocando di fatto la mancata nascita di circa 20.000 bambini ogni anno nel nostro Paese”.
4 donne su 10 (41%) hanno dichiarato che l’assistenza ricevuta durante il parto è stata per certi aspetti lesiva della propria dignità e integrità psicofisica. In particolare, la principale esperienza negativa vissuta durante la fase del parto è la pratica dell’episiotomia, subita da oltre la metà (54%) delle mamme intervistate”. Un tempo considerata un aiuto alla donna per agevolare l’espulsione del bambino, oggi l’episiotomia viene definita dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità una pratica “dannosa, tranne in rari casi”.
Non solo l’episiotomia, sono molteplici i trattamenti invasivi e umilianti subiti dalle donne italiane in sala parto, come ad esempio la costrizione a subire parti cesarei non necessari: “In Italia, il 32% delle partorienti ricorre al parto cesareo. Di queste, il 15% racconta che si è trattato di un cesareo d’urgenza. Nel 14% dei casi, rivela l’indagine, si è trattato di un cesareo programmato su indicazione del medico, mentre solamente il 3% di donne ne ha fatto esplicita richiesta”.
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