
Monica Marchioni: «Ho guardato in faccia l’assassino: era mio figlio»
Intervista a Monica Marchioni, la donna sopravvissuta per miracolo al tentato omicidio da parte di suo figlio, che poco prima di avventarsi su di lei, aveva ucciso suo marito.
Come si può sopravvivere – umanamente, emotivamente – a un figlio che ha tentato di ucciderti? È quello che ha cercato di raccontare – anzi, è quello che è riuscita a fare – Monica Marchioni, la madre di Alessandro Leon Asoli, diciannovenne passato alle cronache per essere “il ragazzo delle pennette al salmone avvelenate”, il piatto con cui voleva mettere in pratica il suo piano omicida.
Era il 15 aprile del 2021 quando Alessandro preparò e fece consumare alla madre e al patrigno quel piatto avvelenato. Poi finse di stare male, si fece accompagnare in cameretta dalla madre e le passò un bicchiere pieno di veleno. Lei se ne accorse, scappò, trovò il marito in condizioni gravissime. Urlò. In quegli stessi istanti il figlio – dopo aver indossato dei guanti di lattice – tentò di soffocarla con dei cuscini, colpendola con dei pugni per farla smettere di urlare, spingendola a terra e arrivando a dirle: “Perché non muori?”. Fin quando – sentiti dei rumori – decise di desistere.
Ora, questa donna, vedova e con un figlio assassino reo confesso in carcere, ha provato a raccontare le sue emozioni e a ripercorrere quel giorno nel libro Era mio figlio (Edizioni Minerva, 144 pagine), scritto con la giornalista e criminologa Cristina Battista, che da cronista aveva seguito questa terribile vicenda.

Signora Marchioni, come nasce l’idea di questo libro? Cosa l’ha spinta a mettere tutto nero su bianco?
«L’idea di questo libro nasce dal consiglio di un agente della scientifica – per mantenere viva la memoria che sarebbe potuta servire al processo – ma anche un po’ come fosse un diario per me stessa. Poi di conseguenza ho pensato di farne un libro vero e proprio, perché non trovavo giusto che il nome di mio marito venisse dimenticato e diventasse una storia di cronaca qualunque: desideravo che le persone potessero leggere fra le righe e fra le pieghe di ogni pagina chi eravamo effettivamente e soprattutto il nostro grande dolore, la devastazione e la forza che mi è rimasta per sopravvivere. Una forza da donare agli altri per fare cambiare le cose».
Lei dichiara “un figlio non ce l’ho più”. Dopo due anni di accuse nei suoi confronti, Alessandro Leon ha confessato: è cambiato qualcosa?
«Ovvio che mio figlio rimarrà sempre tale: come può una mamma riuscire a cancellare un figlio quando è sangue del suo sangue? Quello che lui ha fatto è però talmente enorme, talmente inumano, che io non posso più considerarlo mio figlio. Un figlio non fa niente di simile, nemmeno in una situazione davvero di disagio, di una famiglia disfunzionale. E nel nostro caso non lo era, era una famiglia bellissima: se lui ha covato dell’odio, o l’ha fatto per soldi o l’ha fatto per i motivi che forse nessuno realmente saprà mai. Forse nemmeno lui stesso, per forza di cose un gesto simile non può che essere accompagnato da un disturbo mentale, perché nessun odio ti può portare a fare una cosa tanto aberrante. La confessione di Alessandro Leon è un’altra delle cose che mi ha buttato nuovamente in un baratro senza fine perché prima quel mostro lo nascondevo dietro a un muro in cui il nostro assassino era uno qualunque, un delinquente: io lo chiamavo solo ” il ragazzo”. Ma dopo il 23 marzo 2023 ho dovuto prendere atto che invece quel ragazzo che aveva compiuto queste cose su di me e su mio marito era proprio lui, era mio figlio».

Quale era il rapporto con suo figlio prima del 15 aprile del 2021?
«Prima di quel periodo, era bellissimo, con tutti gli alti e bassi di un adolescente, con tutte le discussioni delle normali famiglie, ma era un rapporto bellissimo: andavamo in vacanza insieme anche solo noi due prima, andavamo sempre a pranzo insieme. Negli ultimi tre mesi era cambiato, ne avevo parlato con mio marito, con i professionisti. Ne avevo parlato anche con una psicologa di nostra conoscenza. Ne avevo parlato con gli amici, con il padre biologico, ma tutti mi rassicuravano dicendomi che erano mie paure e ansie da mamma amorevole apprensiva. Attenzione, quando io parlo di segnali, le parlo di segnali di settimane: non avremmo neanche fatto in tempo a fare nulla per fermare questo male, perché lui ha compiuto tutto nel giro di poche settimane».
Qual è l’effetto che spera di ottenere in chi leggerà questo libro?
«In questo libro io credo molto, e ci conto molto, perché vorrei davvero che arrivasse al cuore delle persone. Vorrei che aiutasse chi non ha forza, non ha coraggio, chi non vuole guardare la realtà oppure chiede aiuto ma non viene aiutato. Mi piacerebbe moltissimo che servisse e da questo punto di vista già abbiamo avuto qualche riscontro. Ecco, vorrei che servisse a far sentire le vittime meno sole, e trasmettere la mia forza a loro, perché mi è rimasto solo questo. Non so se Alessandro leggerà il mio libro. Ci vorrebbe molta forza e tanto coraggio per rileggere quello che ha fatto e nel libro è tutto abbastanza dettagliato. Lì può trovare la mia disperazione. Può trovare il mio dolore, ci ritroverebbe anche mio marito Lollo, un uomo che lo ha amato tanto e che lui ha ucciso senza fare una piega. Non so se riuscirà adesso, non so se i tempi sono maturi per lui».
Andrà a trovare suo figlio in carcere?
«Guardi, io insieme ai medici, allo staff, alla mia psicoterapeuta stiamo lavorando tanto. E questo per riuscire ad andare a trovarlo, perché io ho bisogno di guardarlo negli occhi, ho bisogno di vederlo e di chiedergli come ha potuto – qualunque fosse la ragione – … come ha potuto sentire le mie parole “Chicco sono la mamma, fermati!” e non fermarsi».

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