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ToggleRappresentano un vero e proprio caso le undici monache fuggite da convento di San Giacomo di Veglia, nei pressi di Vittorio Veneto, nel Trevigiano, in un monastero celebre per la produzione di prosecco. Le donne lamentano una “pressione psicologica non più sopportabile”, come hanno raccontato ai carabinieri cui si sono recate subito dopo la fuga. Una pressione che comincerebbe dal momento in cui è arrivata una commissione pontificia inviata dal Dicastero per gli istituti della vita consacrata, con un decreto di commissariamento. La punizione più grande è quella per la badessa brasiliana Aline Pereira Ghammachi, fatta fuori dopo essere stata nel 2018, a 34 anni, la più giovane reggente di un convento italiano. A seguito di diverse ispezioni, arriva il venerdì santo la lettera che molte monache non volevano: «Dopo una visita apostolica — si leggeva nella nota di destituzione — avendo verificato la permanenza di alcune situazioni di criticità relative al servizio dell’autorità e ai rapporti interni, è stata disposta la nomina di una commissaria pontificia e di due consigliere». Al suo posto è arrivata la nuova madre superiora Martha Driscoll, 81 anni, richiamata dall’Indonesia e già a capo del convento romano delle Acque Salvie insieme con madre Luciana Pellegatta, dall’abbazia di Cortona, e la psicologa Donatella Forlani, dell’ateneo pontificio Antonianum. Da quel momento sarebbero cominciati i problemi per alcune delle 23 monache di clausura ospitate nel convento.
Le prime 5 suore erano scappate nella giornata di mercoledì recandosi dai carabinieri per evitare una denuncia di scomparsa, spiegando anticipatamente le loro intenzioni. Al momento si trovano in una associazione di volontariato. A loro si sono aggiunte poi altre 6 donne, fuggite in polemica con la nuova badessa e determinate a riunirsi a Suor Aline. Su questa storia da mercoledì si rincorrono le voci più disparate: prima della fuga le monache avevano denunciato un clima insopportabile dall’arrivo della nuova badessa, ma tutto inizia da una lettera inviata a Papa Francesco da altre monache che avevano accusato madre Aline di «autoritarismo, percosse, violazioni della clausura, atteggiamenti manipolatori, incapacità decisionale».
Al centro della lettera, anche la gestione delle finanze del convento, arrivate da convegni e dalla vendita del prosecco (5 mila bottiglie nel 2022), un’apertura considerata spropositata per un monastero di clausura. La decisione di destituire la giovane madre badessa è arrivata, però, dopo che due diverse ispezioni non avevano portato a nulla e quando le lettere erano state giudicate “accuse false e infondate”, tanto che le quattro accusatrici della badessa sono state trasferite in altri conventi.
Un caso spinoso, che agita le acque del Vaticano nella settimana del conclave che porterà il nuovo Papa: «Abbiamo piena fiducia nell’operato del Dicastero vaticano — si legge della nota dell’amministratore diocesano don Martino Zagonel — sebbene non sia nostra competenza intervenire su questioni interne di una comunità monastica».
Alla base di tutto ci sarebbe lo scontro tra due visioni, anche generazionali: quella più “giovane” che vuole una certa apertura anche della vita monastica e quella più “arcaica”, radicata ai valori della vita di clausura, così come indicata dalla Chiesa. Sullo sfondo, un commercio non indifferente di vino, creme, tisane, miele, olio che non può non creare un legame con il mondo oltre il monastero. Dall’esterno arrivano anche le registrazioni che mostrerebbero l’atteggiamento della nuova badessa al centro della questione: in queste si dice: «siamo in monastero per soffrire», «i canonisti lo fanno per soldi» e «io sono la Chiesa, parlo a nome di Francesco».
Aline, receba meu carinho, minha empatia e minha admiração.
É revoltante ver que, ainda hoje, muitas mulheres — inclusive em contextos religiosos — enfrentam pressões psicológicas, silenciamentos e abusos que ferem profundamente sua dignidade e fé.
O que aconteceu com essas cinco irmãs no Trevigiano expõe uma ferida que muitas vezes é escondida atrás de votos, hierarquias e instituições que deveriam acolher, mas acabam oprimindo.
Como brasileira, mulher e cristã, me solidarizo com a sua dor e com a coragem de trazer esse tema à luz. Que mais vozes se levantem. Que o amor, a justiça e a espiritualidade verdadeira sempre falem mais alto.
Você não está sozinha.