
Reality Show: perché piacciono (ancora) così tanto?
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ToggleNonostante certe dinamiche siano ormai trite e ritrite e l’effetto novità sia soltanto un lontano ricordo, i Reality Show continuano a imperversare sul piccolo schermo e ad appassionare i telespettatori. Ma qual è il motivo di tanta affezione? Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Malerba.
Il reality show fa parte della nostra vita o la vita è un reality show? È lecito chiederselo: dalla fine degli anni ‘90 siamo circondati da programmi televisivi strutturati così, che hanno guadagnato una popolarità travolgente in tutto il mondo, basati su situazioni di vita reale, che catturano l’attenzione di milioni di spettatori. Un fenomeno che non mostra segni di rallentamento, anche se i dati di ascolto sembrano non premiare come una volta certi format, complice anche la diversificazione delle piattaforme di intrattenimento. Ma perché i reality hanno ancora successo? Probabilmente perché hanno la capacità di far immedesimare in situazioni in cui il telespettatore si può riconoscere. Ma c’è anche la componente delle situazioni impreviste, delle dinamiche di conflitto e dell’aspirazione al successo, che mantengono alta la suspense e l’attrattiva.
Si mette in atto un aggancio emotivo
Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Valeria Malerba, psicologa, psicoterapeuta e danzaterapeuta.
Dott.ssa, i reality hanno davvero un potere così forte?
«Alcune trasmissioni televisive, come le serie o le soap opera, sono pensate per creare un “legame” continuativo con il pubblico. Tra queste c’è anche il genere reality show, che si può seguire h24 nel corso della sua durata ed è incentrato principalmente sul meccanismo psicologico dell’identificazione. Identificarsi significa immedesimarsi, rivedersi in un personaggio o in alcune dinamiche che coinvolgono due o più persone. Si crea una sorta di aggancio, un legame emotivo che genera affezione e quando si attiva l’emotività si diventa più influenzabili. Ciò viene sfruttato anche nel marketing pubblicitario o nel variegato mondo della comunicazione, che fa leva sugli individui e sulle masse.

Coloro che partecipano ai reality sono persone famose e non famose. Tra i loro obiettivi ci può essere la visibilità, il guadagno economico, il mettersi alla prova. Non tutti sono in grado, però, di partecipare a reality dove sono previste prove di sopravvivenza, non tutti vogliono viaggiare all’avventura in altri continenti, non tutti possono fare gare di cucina, mentre quasi tutti (a meno che non si abbiano fobie specifiche) sono in grado di vivere in un’abitazione. Tra i vari reality c’è un format in onda in vari Paesi del mondo che si svolge all’interno di una casa costruita tra altri studi televisivi. I concorrenti che si avvicendano nel corso dei mesi devono solo avere la capacità di starvi “reclusi” per lungo tempo insieme a degli sconosciuti. Sono seguiti, o meglio “spiati”, per migliaia di ore da circa 130 telecamere, distribuite nei vari spazi della costruzione. Non servono intraprendenza o particolari competenze, è sufficiente vivere giorno e notte come se si fosse nella propria casa.
Così lo spettatore guardando il programma, probabilmente non si sentirà a disagio, o inferiore o invidioso e si potrà identificare più facilmente con personaggi, storie, situazioni. Inoltre, lo stare fermi dentro una casa crea condivisione anche con coloro che, per motivi vari, vivono tra “quattro mura” per malattia, vecchiaia, reclusione, situazioni sociali.
Vivere in una bolla libera uno spazio mentale

I concorrenti diventano un gruppo, cioè un insieme di persone che interagiscono tra loro influenzandosi reciprocamente e condividono scopi e norme di comportamento. Si possono osservare le classiche dinamiche di gruppo: coesione, conformità, conflitto, dipendenza, leadership, regole, attacco-fuga, separazioni o aggregazioni in sottogruppi, ruoli diversi di supremazia o sottomissione, insicurezza o risolutezza, cambi di equilibri dovuti ai nuovi ingressi. I concorrenti del reality vengono scelti sapientemente rispetto alle loro storie di vita, che emergeranno durante le varie conversazioni tra di loro. Le interazioni, inevitabili e imprevedibili, si svolgono nella rappresentazione di una realtà congelata, in cui il tempo è dilatato e lo spazio ridotto. Per i concorrenti il mondo fuori si spegne temporaneamente, come messo in stand-by e il legame con i propri cari è vissuto nel ricordo o nella nostalgia per famiglia e amici. Quanto succede all’interno è vissuto in modo amplificato, come se fosse la totalità dell’esistenza. Stare in una bolla, senza tv, senza notizie, senza lavorare, senza dipendenza dalla tecnologia, libera uno spazio mentale per riflettere, progettare, vivere nel qui e ora. Ciò consente di recuperare energie, ma è un estremo difficilmente riproducibile nella vita reale, una sorta di vacanza forzata. Stare dentro, così a contatto con se stessi e con altre persone per mesi è un’opportunità per sperimentare la connessione con l’altro, la consapevolezza delle proprie e altrui emozioni, ancor più intense in un contesto chiuso.
Una rappresentazione rassicurante
A qualcuno può nascere il desiderio di rivedere i propri affetti, di scappare, aprire la porta che separa dall’esterno, attraversare l’orizzonte degli eventi e non tornare più… a volte succede. Durante il programma i partecipanti possono ‘confessare’ stati emotivi, antipatie o infatuazioni e queste confessioni generano un copione naturale, cui gli autori possono dare ulteriore impulso attraverso la gestione delle inquadrature e la narrazione, oppure con giochi o altre idee che sollecitano nuove dinamiche. Il montaggio artistico delle ore di girato descrive poi una giornata normale come una storia intrigante, che sfiori maggiormente le corde emotive dello spettatore. Dentro la bolla è tutto amplificato e i partecipanti vivono sulla loro pelle il vero e il falso. Parlano tra loro di cose comuni, del pranzo, delle loro frustrazioni, motivazioni, tradimenti, progetti, a volte in conflitto, a volte in armonia, fino alla creazione di coppie. In questa realtà ibrida, di vita vissuta ma circoscritta alla dimensione casalinga, si rappresenta in modo semplice la vita quotidiana e ciò è rassicurante e genera nello spettatore empatia e affiliazione. A un certo punto gli inquilini perdono l’etichetta di “famosi” o “non famosi” e diventano persone comuni con le stesse esigenze e gli stessi compiti e mansioni che si svolgono in casa (mangiare, lavarsi, truccarsi, pulire, ecc.).
Così si genera un altro tipo di celebrità

Al pubblico di un reality piace poter curiosare, giudicare e sentirsi vicini alla vita altrui, osservarla. Per mesi gli spettatori si abituano a vedere quelle stanze, quei volti, a sentire quelle voci: si può dire che inizino a pensare di “conoscere” gli abitanti della casa. E dopo… quando il programma finisce, i concorrenti percepiscono la disgregazione del gruppo, il ritorno al mondo assordante e ai ritmi frenetici, ma anche ai propri affetti. Gli spettatori invece, sono sollecitati a passare dalla claustrofobica Casa all’agorafobica Isola, dalle rassicuranti pareti, all’orizzonte sconosciuto, dai familiari fornelli a una cucina improvvisata su un fuoco primitivo. Anche la vita reale è così, non vi sono pause né spazi di decompressione tra esperienze nuove e diverse e l’essere vivente è in grado di adattarsi e abituarsi ai mutamenti improvvisi ma trasformativi».
I reality offrono una vasta gamma di format che soddisfano gusti diversi. Tale varietà attrae un pubblico ampio e diversificato e aumenta le possibilità di successo. Cui contribuiscono anche i social: i fan interagiscono, condividono le opinioni in tempo reale, creando una community attiva. Una interazione che aumenta l’engagement ed estende la vita del programma al di fuori del tempo di messa in onda, creando un nuovo tipo di celebrità: la persona comune che diventa star del piccolo schermo e, con molta probabilità, potrà costruirsi una carriera nel mondo dello spettacolo senza aver mai seguito un corso di formazione. Insomma, grazie ai reality lo spettatore riesce a evadere dalla routine quotidiana, mentre il perfetto sconosciuto diventa un Vip. Tutto nella norma?
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