
Omicidio Saman Abbas: in Appello condannati all’ergastolo anche i due cugini. L’avvocato: “Ricorreremo in Cassazione”
Ribaltata la sentenza di primo grado che vedeva condannati al carcere a vita soltanto i genitori con una pena di 14 anni per lo zio. Saman Abbas è stata uccisa nel 2021 ed è stata ritrovata un anno dopo in una buca profonda tre metri.
Tutta la famiglia ha ucciso Saman Abbas. Lo ha deciso la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Bologna presieduta dal giudice Domenico Stigliano, ribaltando in parte la sentenza di primo grado e condannando all’ergastolo, oltre ai genitori della ragazza pakistana, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, anche i due cugini Noman Hulaq e Ikram Ijaz, che invece in primo grado erano stati assolti. Tutti e quattro si erano reciprocamente accusati: uno contro l’altro durante il processo. Ma secondo il giudice sono tutti responsabili di un omicidio che ha indignato l’intera Italia. Per i due genitori di Saman, colpevoli anche di soppressione del cadavere, sono state riconosciute pure le aggravanti della premeditazione e dei motivi abietti e futili, così come per i due cugini. Pena più severa anche per lo zio della giovane uccisa, Danish Hasnain (richiesta di ergastolo per lui) per cui gli anni di carcere passano dai 14 della prima sentenza ai 22 dell’Appello.


Saman Abbas, arrivata nel 2016 a Novellara, è stata uccisa a soli 18 anni tra il 30 aprile e il primo maggio del 2021, perché voleva vivere senza seguire le regole della sua famiglia e non aveva accettato un matrimonio combinato con un parente in Pakistan. Non solo: Saman era innamorata di un connazionale pakistano conosciuto in Italia, Saqib,Ayub e con lui progettava il matrimonio e un futuro d’amore insieme. La goccia che ha fatto traboccare il vaso: una foto in cui la ragazza bacia il suo innamorato, pubblicata sui social: una provocazione contro il volere dei genitori e contro le loro nozze combinate per ragioni di clan. Il suo vivere “all’italiana” non è stato mai gradito alla famiglia che, dopo diverse discussioni e tentativi di piegarne la volontà, ha deciso di interrompere la sua vita per sempre, assassinando la donna nel vialetto vicino casa e poi seppellendola in una buca profonda tre metri nella serra di vecchio casolare, dove è stata ritrovata nel novembre del 2022 su indicazione dello zio Danish Hasnain, arrestato in Francia, che per questa collaborazione ha avuto uno sconto sulla sua pena.

Il processo di primo grado aveva già condannato i genitori e lo zio, mentre erano stati esclusi da responsabilità i due cugini, ritenuti oggi anche loro colpevoli. “È una sentenza che segue un percorso puramente logico – commenta l’avvocato generale dello Stato di Bologna, Ciro Cascone, dopo la sentenza – Significa che in qualche modo è stata accolta la nostra ricostruzione, era quello che abbiamo sostenuto appena abbiamo letto la sentenza di primo grado e le evidenze probatorie hanno confermato la nostra impostazione”. È di parere opposto l’avvocato Luigi Scarcella, legale di Noman Hulaq, uno dei cugini, che ritiene la sentenza «assolutamente ingiusta, anzi inconcepibile. Non c’è alcun elemento, né si potevano in alcun modo valorizzare queste fonti dichiarative per le ragioni che abbiamo espresso durante la discussione. Attenderemo le motivazioni e faremo ricorso in Cassazione, fiduciosi di aver ragione». Sulla sentenza, per un caso diventato di importanza nazionale, si è espresso anche il vicepremier Matteo Salvini: «È stata fatta giustizia per una ragazza uccisa dalla sua famiglia perché desiderava vivere libera in Italia. In Occidente non c’è spazio per criminali come loro».
Saman è diventata negli anni un simbolo della libertà delle donne, come ha ribadito il procuratore di Reggio Emilia Gaetano Paci, che ne ha ricordato la voglia di vivere in libertà, contro le imposizioni. Di questo avviso anche l’avvocato Maria Teresa Manente, responsabile ufficio Legale Differenza Donna, parte civile nel processo: «La sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Bologna segna un momento di svolta, non solo dal punto di vista giuridico, ma soprattutto sul piano sociale. Con questa decisione, la Corte riforma radicalmente la pronuncia di primo grado, riconoscendo la responsabilità di tutti i familiari imputati per il femminicidio di Saman Abbas e compie un atto di giustizia atteso e necessario». La legale stigmatizza la cultura patriarcale alla base del delitto: «È una sentenza che ripara, almeno in parte, alla profonda vittimizzazione secondaria subita da Saman Abbas. La colpevolizzazione postuma della vittima, ancora una volta, aveva rischiato di oscurare la verità: Saman Abbas è stata uccisa per la sua libertà. Questa sentenza rimette al centro la responsabilità degli autori della violenza e restituisce dignità a Saman riconoscendole il diritto, troppo spesso negato, di vivere la propria vita secondo desideri, scelte e relazioni liberamente costruite”.
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