
Because Sanremo is Sanremo: se la star straniera fa la storia
Dai Queen a Springsteen, dai Dire Straits a Peter Gabriel: ripercorrete con noi 4 intepretazioni iconiche e memorabili (più qualcun'altra...) dei grandi nomi della musica internazionale entrate nella storia del Festival della Canzone Italiana.
Sì, sì, ok: Sanremo è Sanremo e “Perdere l’amore rischi di impazzire” e “si può dare di più” e poi “se stiamo insieme ci sarà un perché”, ma anche ”Dio delle città e dell’immensità”… tutto bello… ma il Festival della Canzone italiana è stato anche palcoscenico, negli anni, di alcune delle performance più scenografiche, intense e spettacolari di grandi nomi della musica internazionale: i Duran Duran quest’anno sono gli ultimi di una lunga serie di star estere che hanno scelto il palco dell’Ariston come vetrina dei loro album e della loro musica. Quanti grandi artisti stranieri sono passati per la Città dei Fiori?

È il 1981. Claudio Cecchetto è alla sua seconda conduzione. Alice vince con Per Elisa di Franco Battiato (giù il cappello tutti) e dall’Inghilterra arrivano i Dire Straits del grande, unico Mark Knopfler alla chitarra e di John Illsey al basso.
Il gruppo britannico, pochi mesi dopo l’uscita del terzo album Making Movies registrato a New York nel 1980, e arricchito dal Iavoro alle tastiere di Roy Bittan componente della E-Street Band di Bruce Springsteen, si prende il palco del Festival e la sua miscela di blues e rock arriva nelle case di tutti gli italiani.
Il playback in quegli anni regna sovrano; malgrado ciò la band propone, nel corso della manifestazione, ben quattro brani Expresso Love, Skateway, Tunnel of love, e uno dei capolavori assoluti della musica, Romeo and Juliet. In questo brano il tocco di Roy Bittan al pianoforte rende il tutto etereo e la chitarra di Knopfler ci porta direttamente dentro una storia d’amore struggente. Semplicemente una delle canzoni più belle della storia della musica.

È il 1983. Tiziana Rivale vince il Festival con Sarà quel che sara, i Matia Bazar conquistano il premio della critica con Vacanze Romane, Vasco Rossi arriva VENTICINQUESIMO (sì, avete letto bene) con Vita Spericolata…
Nelle serate del 4 e 5 febbraio un artista truccato di bianco, lanciandosi nella platea con una fune e camminando letteralmente sulla testa dell’ingessato pubblico delle prime file, propone un suo brano, Shock the Monkey. L’artista è Peter Gabriel (giù il cappello, signori… e due).
Dopo aver fondato ed essere stato membro dei Genesis fino al 1975, quando abbandonò la band al termine del tour che promuoveva I’album The lamb lies down on Broadway, il nostro iniziò una carriera solista che dura a tutt’oggi.
Discostandosi sempre più dal progressive rock che aveva contribuito a far nascere, Peter Gabriel iniziò a produrre album sempre più orientati alla sperimentazione musicale. Nel settembre del 1982 esce il suo quarto album solista, intitolato semplicemente IV, che contiene appunto Shock the Monkey. Attraverso una sezione ritmica coinvolgente Peter Gabriel ci parla di gelosia e di come la gelosia possa portare un uomo ad azioni istintive e primordiali.

“AII we hear is Radio ga ga”… Siamo nel 1984. il Festival si svolge, agli ordini di Pippo Baudo, dal 2 al 4 febbraio e viene vinto da Albano e Romina Power con Ci sarà (ultimi gli Stadio con Allo stadio. Bah…).
I Queen, che per i pochi che non lo sapessero erano formati da Roger Taylor alla batteria, John Deacon al basso, Brian May alla chitarra e da LUI alla voce, pianoforte, presenza scenica e oltraggi vari (giù il cappello …e tre), erano in procinto di far uscire il loro undicesimo album The works, che conteneva alcune tra le loro più famose canzoni, It’s hard life, la rockeggiante Hammer to fall e la divertente I want to break free, di cui tutti ricordiamo il videoclip con i quattro truccati da casalinghe.
Il pezzo scelto come singolo apripista era Radio ga ga, una canzone con una forte presenza di elementi elettronici composta da Roger Taylor, con una sezione ritmica molto marcata. Il testo rimandava a quando la radio era l’unico mezzo per venire a sapere cosa succedeva nel mondo. Arrivata a Sanremo, la nostra band fu informata del fatto che la loro esibizione non sarebbe stata live, ma in playback. I Queen, contrarissimi, dovettero comunque esibirsi, ma resero l’esibizione comica, mimando esplicitamente il tutto, specialmente LUI, allontanando continuamente il microfono… e il mito fu sempre più mito.

20 Febbraio 1996… è la prima serata del quarantaseiesimo Festival di Sanremo: il conduttore (Pippo Baudo, chi altri pensavate?) non è ancora praticamente salito sul palco che un uomo con una chitarra acustica appare in scena… la camicia dentro i
jeans… capelli all’indietro. Viene da Asbury Park, nel New Jersey… per anni ha suonato davanti a platee enormi, ha composto inni generazionali, le sue maratone rock sono ormai famose in tutto il mondo. Lui non si risparmia mai… non va con il freno tirato.
Sul palco dell’Ariston è solo. Lui è Bruce Springsteen e sta iniziando a cantare The ghost of Tom Joad. Ha chiesto il palco buio… ha chiesto che venisse trasmesso il testo tradotto. Tom Joad è il protagonista di Furore, uno dei maggiori libri di John Steinbeck. La canzone è scarna, essenziale, quasi sussurrata, è sudore… fatica… sangue… dolore… parla di un’America che non conosciamo. Non quella delle luci della Grande Mela o quella edonistica californiana. Ci sono i perdenti, qui… 4 minuti circa, poi I’uomo sul palco stringe la mano al conduttore. Non dice nulla. Esce dal palco. C’è commozione in teatro e a casa.
Grazie, Bruce… Grazie, Sanremo… Giù il cappello.
Sono tanti i “superospiti” internazionali che hanno calcato negli anni il palco del Festival. Vediamone alcuni…





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