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Donald Trump con una cravatta rossa su sfondo nero
Attualità

Panama, Groenlandia e Canada: lo shopping invernale di Trump

Roberto Foti
Roberto Foti
Gennaio 10, 2025

Non ha ancora varcato le porte della Casa Bianca, ma già Donald Trump detta l'agenda politica mondiale con dichiarazioni roboanti e anche minacce concrete

Nessuno ricordi a Donald Trump che circa ottant’anni fa la Sicilia, durante le fasi finali della II Guerra Mondiale, voleva farsi annettere dagli Stati Uniti e diventare (allora) il 49esimo Stato dell’Unione.

Giacché, coi tempi che corrono, potrebbe seriamente accarezzare l’idea e, tra qualche tempo per attraversare da Villa S. Giovanni lo Stretto di Messina (ovviamente sul ponte che finirebbe per annunciare e costruire lui, o magari con un tunnel gentilmente fornito da Elon Musk) potrebbero servire passaporto e visto!

Sì, perché, ancora prima di varcare la soglia della Casa Bianca, l’ormai prossimo 47esimo Presidente degli Stati Uniti, durante la conferenza stampa tenutasi nella sua residenza di Mar-a-Lago a seguito della proclamazione ufficiale dello scorso 7 gennaio, ha già messo bene in chiaro cosa vorrebbe dal mondo come regalo per l’ “incoronazione” durante questi saldi invernali: il Canale di Panama e la Groenlandia.

E poi, poche ore dopo che il premier canadese Justin Trudeau si era dimesso per una grave crisi politica dopo quasi 10 anni di governo ininterrotto, con un paio di mappe autoesplicative – diffuse attraverso l’ufficio stampa più attendibile che si possa consultare sulle sue dichiarazioni, ossia l’account da lui stesso gestito sul social da lui fondato, Truth – ha messo dentro la lista regalo anche il Canada, ché lo sciroppo d’acero sui marshmallow ci sta bene e col gelo invernale fa pure bene alla salute.

In realtà, vale la pena depurare le affermazioni donaldiane dalla loro carica grottesca e andare a vedere quali verità nascondono. Quelle che potrebbero sembrare esternazioni apparentemente deliranti o “sparate” fatte da un multimilionario abituato a potersi permettere tutto, sono, infatti, a tutti gli effetti, dichiarazioni d’intenti e obiettivi strategici ben precisi e concreti, che anche se d’improbabile realizzazione nel breve periodo, sono indicativi della futura geopolitica U.S.A. E costituiscono anche messaggi ben precisi.

Una veduta dall'alto del Canale di Panama
Una veduta dall'alto del Canale di Panama. - © Shutterstock

Un canale conteso

Per quanto riguarda il Canale di Panama, il tentativo di rivendicarne agli U.S.A. il controllo ha più di un senso. Il passaggio tra i due Oceani – Atlantico e Pacifico – che taglia in due l’America Centrale consentendo fin dal 1915, quando fu definitivamente inaugurato, una notevole riduzione dei tempi di viaggio di cargo e navi di ogni genere, fu infatti restituito nel 1999 dagli U.S.A., che avevano gestito il Canale fino ad allora, alla piena sovranità dello Stato Panamense, che in quel momento era comunque totalmente nell’orbita d’influenza di Washington.

Da allora, la situazione geopolitica è, però, decisamente cambiata. È l’approccio aggressivo della Cina a essere oggi nel mirino di Trump. Il dragone cinese nel 2017 ha infatti avviato, nell’ambito della spesso citata “Belt and Road Initiative”, la politica di accordi commerciali che mira a favorire l’espansione commerciale cinese nel mondo, una serie di negoziati con Panama per controllare direttamente due dei cinque porti totali adiacenti al Canale (in particolare, quelli alle due estremità) e ottenere pedaggi più bassi per il passaggio per le sue navi. Un’azione che, chiaramente, consentirebbe sia una diffusione più capillare e competitiva dei prodotti cinesi anche sui mercati americani, sia un abbattimento dei costi per far approdare in Cina risorse e materie prime da tutto il mondo.

Che, dunque, il tycoon dichiari che il controllo del Canale, un asset “nel giardino di casa” di Washington, sia un interesse strategico per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti non può sorprendere.

Nuuk, capitale della Groenlandia. - © Shutterstock
Nuuk, capitale della Groenlandia. - © Shutterstock

Un “paradiso “di ghiaccio

Più apparentemente sorprendente, invece, ma niente affatto campata in aria, è la citazione della Groenlandia come altro luogo di interesse primario per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti durante la stessa conferenza.

Ricoperta per oltre l’80% del territorio da ghiacci perenni, la Groenlandia è un’immensa isola, la più grande non continentale, incastonata nell’estremo nord dell’Oceano Atlantico, tra Canada e Islanda e appartenente, in qualità di territorio autonomo, alla Danimarca.

Anche se può apparire una boutade, l’idea di acquistare la Groenlandia da parte degli U.S.A. non è affatto peregrina o spuntata dal nulla. Già se ne parlò alla fine della II Guerra Mondiale, con un’offerta reale, da 100 milioni di Dollari di allora, che venne rifiutata, e l’argomento fu ripreso proprio da Trump durante il suo primo mandato presidenziale nel 2019, quando si disse interessato ad acquistarla dal governo danese, che tentò di allettare definendo l’eventuale compravendita “un grande affare immobiliare” per Copenaghen. Il miliardario newyorkese ne aveva poi nuovamente parlato di recente, il mese scorso, in un’altra occasione pubblica.

I motivi di interesse per gli USA su quel territorio, in realtà, ci sono eccome, e sono diversi: per cominciare, sotto la calotta polare risiedono potenzialmente diverse risorse appetibili per qualsiasi potenza mondiale: giacimenti di petrolio, terre rare e minerali fondamentali in campo tecnologico per la creazione di chip e microcomputer, come cobalto, litio o niobio.

La Groenlandia, isola non continentale più grande del mondo, incastonata nell'Oceano Atlantico tra il Continente Americano e l'Eurasia
La Groenlandia, isola non continentale più grande del mondo, incastonata nell'Oceano Atlantico tra il Continente Americano e l'Eurasia. - © Shutterstock
La distanza tra l'estremo nord dell'isola groenlandese e il primo territorio della Russia è minima
La distanza tra l'estremo nord dell'isola groenlandese e il primo territorio della Russia è minima

Vi è poi un interesse più “materiale”, legato al fatto che, con l’aumento delle temperature e la progressiva riduzione dei ghiacci polari, aree come la Groenlandia, con ampie zone ancora incontaminate e inesplorate, potrebbero rivelarsi in prospettiva un nuovo polo di attrazione per turismo e sviluppo industriale da non sottovalutare.
Ma, naturalmente, l’interesse primario per gli U.S.A. sull’isola è strategico. Ponte ideale tra Europa e America, ma anche territorio interno sterminato e disabitato dove poter fare esperimenti e stabilire basi di ogni tipo e “affaccio” naturale sui territori russi al di là del Polo Nord (se si guarda un mappamondo invece di un atlante si comprende quanto vicina sia in linea d’aria la propaggine più settentrionale dell’isola alla Russia europea), la Groenlandia ospita già la base militare americana situata più a Nord, la Thule Air Base, che è parte integrante del sistema di allerta antimissilistico statunitense.

Quello che però ha fatto sobbalzare dalla sedia politici e analisti di tutto il mondo è stata la risposta di Trump alla successiva domanda, se escludesse l’uso della forza per controllare il Canale di Panama e la Groenlandia in quanto aree di interesse U.S.A.

La risposta è stata lapidaria: «No».

La bandiera della Groenlandia: territorio ricoperto dai ghiacci
La bandiera della Groenlandia: questo territorio ricoperto dai ghiacci per larga parte ancora incontaminato e inesplorato ha immense potenzialità di sviluppo e si trova in una posizione strategica. - © Shutterstock

Dure reazioni (?)

Ovviamente, le reazioni dei diretti interessati all’ipotetica minaccia di annessione con la forza non si sono fatte attendere. José Raùl Mulino, presidente dello Stato centramericano, che dallo scorso 1 gennaio fa peraltro parte come membro non permanente del Consiglio di Sicurezza O.N.U., così come il suo ministro degli Esteri Javier Martinez-Acha, si sono affrettati a dichiarare che «la sovranità del Canale di Panama non è negoziabile».

Anche in Danimarca, con buona pace di Amleto, non ci sono stati dubbi nella risposta al tycoon: «La Groenlandia è dei Groenlandesi», ha tuonato la Prima Ministra danese Mette Fredriksen, «e non è in vendita». Un concetto ribadito, per bocca del primo ministro del territorio autonomo Múte B. Egede, dalle stesse autorità di Nuuk (la capitale dell’isola artica), che stanno organizzando giusto per aprile, con il benestare del governo di Copenaghen, un referendum sulla propria indipendenza.

In compenso, il Re di Danimarca Federico X, con incredibile tempismo e forse subodorando il “pericolo”, aveva deciso appena a fine dicembre di cambiare lo stemma reale, dando più risalto, insieme alla pecora simbolo delle Isole Fær Øer, altro territorio autonomo danese, all’orso simbolo dell’isola dei ghiacci.

Mentre tutto questo avveniva, colpisce il lungo sonno dell’Unione Europea, che ci ha messo un paio di giorni per accorgersi che la Danimarca è un suo stato membro e che anche solo evocare l’annessione di parte di un suo territorio con la forza è una minaccia alla sua stessa natura politica ed elaborare una risposta ribadendo che “i confini dell’Unione Europea sono inviolabili”.
Mentre a Bruxelles si reagiva con la solerzia di Internet Explorer, intanto Copenaghen, ripresasi dallo shock, nel giro di un paio di giorni già ha cambiato toni e si dice “pronta a cooperare” nell’Artico con gli U.S.A.

Sarà un caso che, così, a titolo personale, il figlio di Trump, Donald Jr sia volato proprio in questi giorni in Groenlandia “per un viaggio di natura privata”?

Il nuovo simbolo reale danese
Il nuovo stemma reale danese con il simbolo della Groenlandia, l'orso, a occupare in solitaria il terzo elemento dello scudo, quello in basso a sinistra. Prima l'orso groenlandese e la pecora delle Fær Øer facevano parte dello stesso riquadro.

La ciliegina sulla torta

Alla lista della spesa dello shopping invernale, o quanto meno, dei desiderata dichiarati dal tycoon, mancava però un pezzo forte: il Canada.

Proprio l’elezione di Trump e il suo ormai prossimo insediamento il 20 gennaio potrebbe aver in effetti dato il definitivo colpo di grazia al già da tempo traballante governo canadese presieduto dal Primo Ministro Justin Trudeau: la promessa introduzione di dazi da parte degli U.S.A. e la stretta sull’immigrazione vagheggiata dall’ex e futuro Presidente, infatti hanno acuito la crisi interna, spingendo Trudeau a dichiarare di non essere la persona più indicata a gestire i tempi che verranno e a fare un passo indietro sia da Primo Ministro che da leader del Liberal Party.

Justin Trudeau, dimissionario Primo Ministro canadese. Era in carica ininterrottamente dal 2015. - © Shutterstock
Justin Trudeau, dimissionario Primo Ministro canadese. Era in carica ininterrottamente dal 2015. - © Shutterstock

Cos’è il genio? “È fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità di esecuzione”, risponderebbe qualcuno che la sa lunga. Per Trump, nello specifico, è stato cogliere la palla al balzo e diffondere sul suo social Truth prima una cartina con i confini tra Stati Uniti e Canada cancellati e la scritta a caratteri cubitali “United States” a comprendere entrambi i territori, e poi, poco dopo, a ribadire il concetto, un’altra cartina con le stelle e strisce della bandiera U.S.A., estese a tutto il continente Nordamericano dal confine col Messico in su, Canada compreso.

“Oh, Canada”, diceva la frase di accompagnamento. Quasi un sogno a occhi aperti, un invito ai canadesi a sognare con lui quanto sarebbe grande e forte uno stato unito con gli Stati Uniti. Un po’ come un inguaribile tombeur de femmes che in pieno stile “ogni lasciata è persa”, dopo aver blandito due possibili future conquiste non può concepire di lasciarsi scappare l’inattesa occasione con la terza. Ovviamente, anche in questo caso è giunta la dichiarazione di Trudeau e dei canadesi tutti: «Ci difenderemo».

La cartina con la dicitura "UNITED STATES" comprendente anche il Canada postata da Trump sul suo social Truth
La cartina con la dicitura "UNITED STATES" comprendente anche il Canada postata da Trump sul suo social Truth.
La cartina di Canada e Stati Uniti tutti colorati al loro interno con la bandiera a stelle e strisce USA postata da Trump su Truth e X
La cartina di Canada e Stati Uniti tutti colorati al loro interno con la bandiera a stelle e strisce USA postata da Trump su Truth e X.

Se le parole sono missili

Per l’attuale, ancora per pochi giorni, Segretario di Stato U.S.A. Antony J. Blinken, quelle di Trump sono affermazioni improbabili e destinate a non realizzarsi. E probabilmente è così.

Però.

Però, intanto, ha dettato l’agenda politica internazionale di gennaio già ben prima del 20 gennaio, gettando l’equivalente di tre bombe atomiche geopolitiche, in un mondo fatto di rapporti diplomatici spesso cauti, sotterranei e silenziosi.

Però, intanto, ha dichiarato, anzi ribadito, chi sono i suoi nemici: la Cina, la Russia, ma in un certo qual modo anche l’Europa: l’affermazione che gli Stati Europei dovrebbero arrivare al 5% del PIL per finanziare la Nato altrimenti gli USA non ne garantiranno la protezione è passata un po’ sotto silenzio, ma è forse una minaccia ben più concreta dell’annessione con la forza dei ghiacci groenlandesi.

Però, intanto, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha ritenuto di dover intervenire sulla questione, affermando che la Russia prende con le dovute tare, ma sul serio, le parole di Trump sulla Groenlandia e che l’Artico rimane d’interesse strategico anche per Mosca. E, guarda caso, è notizia di oggi che si starebbe valutando un incontro di Putin con Trump.

Però, e forse è il più grave e inquietante “però”, la “sparata” più grossa l’ha riservata alla questione israelo-palestinese, paventando «l’inferno» se Hamas non rilascerà entro il suddetto 20 gennaio gli ostaggi israeliani ancora in mano ai militanti.

Il guaio è che le risposte a questi “però” le scopriremo tutte molto presto, a partire, appunto, (indovinate un po’?), dal 20 gennaio. E – con buona pace dei rapporti apparentemente idilliaci tra il governo italiano e l’accoppiata Trump-Musk, con Giorgia Meloni che vola, ospite gradita, al di là dell’Oceano più spesso di quanto non si presenti in Parlamento – non avremo voce in capitolo in nessuno di essi. Perché Trump sta dicendo da tempo che per fare l’America “Great Again” non guarderà in faccia nessuno. E la cosa non è detto che ci piacerà.

Donald Trump indossa un berretto con il motto della sua campagna: Make America Great Again. - © Shutterstock
Donald Trump indossa un berretto con il motto della sua campagna: Make America Great Again. -
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