
Ucraina: Zelensky e la mossa game changing. Pace più vicina?
Zelensky, ospite del Consiglio Europeo , ammette che l'Ucraina «non ha le forze per riprendere militarmente Crimea e Donbass». La risposta di Putin: «La Russia è vicina ai suoi obiettivi». Al di là delle dure parole di facciata, l'avvento di Trump e lo studio di un piano di pace UE ora potrebbero porre le basi di un negoziato improntato al realismo.

Qualcosa si muove
L’ammissione del presidente ucraino Volodymir Zelensky in un’intervista alla rivista francese Le Parisien che l’Ucraina «non ha le forze per riprendersi Crimea e Donbass militarmente», sia pur condita da una dura reprimenda alla politica putiniana e alle consuete richieste di armi e appoggio politico all’Europa e agli USA, è una di quelle frasi che potrebbero anche passare in sordina come una delle tante dichiarazioni sulla guerra, se non fosse che il fatto stesso che sia stata pronunciata con tale chiarezza e alla vigilia di un’occasione tanto importante può cambiare le carte in tavola e diventare “game changing” per il destino della guerra in corso.
Zelensky, infatti, non aveva mai affermato pubblicamente, né così esplicitamente, quello che tutti gli analisti politici e militari hanno chiaro da tempo: e cioè che, allo stato dell’arte, per ripristinare l’integrità territoriale del Paese per come è illustrato sulle cartine geografiche, e cioè con Donbass e Crimea non in mano russa, servirebbe un impegno militare diretto della Nato che potrebbe facilmente portare a conseguenze imprevedibili e quindi, per ciò stesso, impraticabile.
Il leader ucraino, che era giunto a Bruxelles per incontrare diversi premier e capi di Stato riunitisi nella capitale Belga per partecipare al Consiglio d’Europa di oggi, 19 dicembre, e ha incontrato il neopresidente della Nato Rutte, partecipando alla cena pre-vertice con tutti i Primi Ministri presso la residenza ufficiale di quest’ultimo e poi al vertice ufficiale di oggi, ci ha tenuto a contestualizzare la dichiarazione, facendo mille distinguo e puntualizzando che si riferiva alla riconquista militare, ma che legalmente la Costituzione dell’Ucraina non consente di rinunciare a quei territori, che devono perciò essere contesi alla Russia per via diplomatica, con l’Ucraina che conta sulla capacità dell’Europa di esprimere una posizione forte per costringere la Russia a sedere al tavolo di pace…
Insomma, una sorta di Zelensky in versione Conte Mascetti, per riempire di fumo un messaggio ben preciso: “Ok, lasciamo perdere il discorso di Crimea e Donbass e sediamoci al tavolo per porre fine alle ostilità sul campo”.

Una novità comunicativa
Il riconoscimento pubblico che l’esercito non ha la forza per contrastare l’invasione di quelle regioni è in qualche modo una novità: fino a oggi infatti, il mantra ripetuto più volte in tutte le sedi ufficiali e ai media è stato che l’Ucraina avrebbe combattuto fino al ripristino delle condizioni preesistenti all’invasione. Anche nei primi tempi dopo l’inizio della guerra, quando si cercava di intavolare trattative di tregua, la proposta ucraina di sedersi al tavolo “partendo dalle condizioni precedenti al 21 febbraio 2022” (cioè con mezzo Donbass in mano ai separatisti) e più in là di fare un discorso a parte per la Crimea riguardava semplicemente il “fermare il tempo” per poter discutere senza combattimenti in corso. Soltanto negli ultimi tempi, in particolare dopo l’elezione di Trump, è avvenuto un “cambio di retorica”, come spiega bene in un’intervista a Fanpage Eleonora Tafuro ricercatrice dell’Ispi.
Ma ripetere il concetto in modo così esplicito e in un’occasione di così alto livello è un’altra storia: una dichiarazione così non è estemporanea e farla in prossimità del Consiglio Europeo in cui si è ospiti, pur accompagnata dalle solite dichiarazioni di facciata critiche verso Putin, dà la netta impressione di voler raggiungere la platea più ampia possibile mandando al contempo un messaggio alla Russia: l’Ucraina è disposta a partire dal presupposto che quelle regioni sono in mano russa. Non legalmente, né politicamente (qualunque politico ucraino promettesse una cosa del genere verrebbe probabilmente linciati in patria), e non a titolo definitivo, ma l’inedita presa d’atto di realpolitik che fino a qualche mese fa sarebbe suonata come un’insulto per ogni ucraino, figuriamoci per i suo capo di Stato, c’è e risuona forte. Il tutto, si presume, in accordo con l’Europa.

Il ruolo dell’Europa
E in realtà proprio la stesura di un’eventuale proposta di pace articolata da parte dell’Europa per l’Ucraina è stato uno tra gli argomenti principali all’ordine del giorno del Consiglio UE: in vista del prossimo insediamento di Donald Trump alla presidenza USA il 20 gennaio 2025, infatti, i capi di Stato del Vecchio Continente non vogliono trovarsi impreparati a un dialogo diretto (peraltro già abbondantemente in corso) tra il redivivo inquilino della Casa Bianca e Putin sopra le loro teste.
Lo stesso Trump spinge per un impegno diretto per la pace da parte dell’Europa, in modo da iniziare il suo mandato con una chiara vittoria politica, riuscire là dove tre anni di Biden hanno fallito, riportare la pace in Ucraina.
La proposta al vaglio, caldeggiata presumibilmente dallo stesso Trump, potrebbe prevedere il dispiegamento di una forza di peacekeeping appartenente a Paesi europei più neutrali o terzi come la Turchia. Una proposta non vista di buon occhio però dai “vicini di casa” di Mosca, in particolare Polonia e Paesi Baltici, che vedono come il fumo negli occhi qualsiasi concessione al gigante russo e preferirebbero semmai fornire armi all’esercito ucraino.
Il fulcro di tutto resta la presa d’atto che, con Trump al governo degli USA, cambierà presumibilmente l’inerzia del sostegno militare ed economico fin qui concesso agli ucraini in funzione anti-russa. L’Europa lo sa e Zelensky, al di là delle intenzioni dichiarate di voler convincere Trump a concedere armi e dollari, lo sa anche lui e per questo c’è la necessità di imbastire le basi per un compromesso quando ancora la nuova amministrazione non si è insediata, ma se ne conosce già l’orientamento. Farlo ora appare ancora un’iniziativa autonoma. Farlo dopo sarà un andare a traino delle volontà di Trump e degli interessi di Putin.

La reazione di Putin
Il problema è che lo sa anche Vladimir Putin. Il quale non a caso non ha fatto passare neanche un giorno e nella sua conferenza stampa annuale, oltre ad affrontare ovviamente la questione della crisi siriana, ha fatto dichiarazioni importanti anche sull’Ucraina, dichiarandosi pronto a incontrare Trump e parlare di pace.
Lo “zar” ha anche specificato di essere disposto a discutere anche con Kiev, e con lo stesso Zelensky, purché venga rieletto.
Il solito Putin che con una punta di sadismo prende il vantaggio e rilancia, si dirà. Ma proprio il mandato dell’attuale Presidente ucraino può diventare uno dei punti cardine per lo sblocco delle trattative: la sua presidenza, infatti, è formalmente scaduta lo scorso maggio, a 5 anni di distanza dall’elezione del 2019. Con la guerra e la legge marziale in corso è stato giocoforza sospendere a tempo indeterminato le elezioni e mantenere l’attuale leadership al potere. Prima o poi però a Kiev si dovrà affrontare il tema e non è detto che il cambio di scenario internazionale con Trump alla Casa Bianca non “costringa” Zelensky a farlo anche a breve.
Il fatto però che Mosca si dica disposta a trattare anche con Zelensky a patto che venga rieletto è interessante, perché riporta il riconoscimento dell’interlocutore su un piano squisitamente “tecnico” (la regolarità delle elezioni) e non personale o giudiziario (“Zelensky capo di un governo terrorista e delegittimato”).
Una proposta che declinasse sufficienti garanzie all’Ucraina (ma non l’ammissione alla Nato, irricevibile da Mosca e che manderebbe il messaggio opposto al tentativo di accordo), ma concedesse a Putin i suoi due principali obiettivi realistici, mantenere il controllo di Crimea e Donbass e poter dire di aver riportato la legalità in Ucraina “costringendola” a nuove elezioni presidenziali (con la prospettiva anche di influenzarne l’esito), con Trump a fare da paciere super partes e l’Europa impegnata finanziariamente nel peacekeeping e nella ricostruzione, potrebbe offrire la base per un’intesa, sia pur fragile e con molte questioni irrisolte.
Nel frattempo, però, la guerra infuria non solo sul campo ma anche su altri piani. L’attentato dei giorni scorsi da parte dell’intelligence ucraina al generale Kirillov, capo delle truppe di difesa radiologica, chimica e biologica delle forze armate russe, così come la presentazione del nuovo missile balistico ipersonico Oreshnik da parte di Mosca, testimoniano che quello che porta alla pace è un filo davvero sottile, solo uno dei tanti che possono essere tirati e, anche se la stanchezza della guerra si fa sentire da entrambe le parti, non quello che al momento i due contendenti sono disposti a tirare per primo.
A te l'onere del primo commento..