
Yara Gambirasio, una ferita ancora aperta: Giovanni Terzi rilegge il caso con cuore e ragione sfidando le verità nascoste
In questo articolo
ToggleYara Gambirasio, una vita spezzata e un caso che divide: il nuovo romanzo di Giovanni Terzi
Era il 26 febbraio del 2011 quando il corpo di Yara Gambirasio veniva ritrovato in un campo a Chignolo d’Isola, a circa 10 chilometri da Brembate di Sopra, da cui la tredicenne era scomparsa tre mesi prima. Quattordici anni dopo, il terribile caso di cronaca che sconvolse l’Italia è più attuale che mai. A raccontarne le verità nascoste è il giornalista Giovanni Terzi, nel suo ultimo libro L’ultimo sguardo di Yara (Edizioni Piemme), un’opera che intreccia la tragedia dell’omicidio di Yara con una narrazione romanzata, attenta sia al lato umano sia al rigore dei fatti. Attraverso uno studio approfondito degli atti processuali, Terzi ha voluto restituire al lettore il suo sguardo su una vicenda che ha segnato profondamente l’Italia. Abbiamo intervistato l’autore per capire le motivazioni, le difficoltà e il messaggio di un lavoro che non si limita a raccontare, ma che invita a riflettere.
Troppi elementi che non tornano

Che cosa l’ha spinta a scrivere L’ultimo sguardo di Yara e a scegliere di raccontare questa tragica vicenda in forma romanzata?
«Ho seguito questa vicenda fin dall’inizio, osservandola trasformarsi in un caso processuale. Mi sono accorto che c’erano stati errori procedurali. Mi sono appassionato a questo caso. Da qui è nata l’idea di scrivere non un libro d’inchiesta, ma un romanzo, perché attorno a questa vicenda gravitano contesti e persone poco conosciuti».
Come ha bilanciato la componente sentimentale con il rigore dei fatti processuali?
«Ho letto i documenti giudiziari, visitato i luoghi e cercato di capire il contesto della città. Non si tratta tanto di bilanciare, quanto di integrare: la componente umana e quella processuale si completano a vicenda e sono compenetrate l’una nell’altra».
Ha definito questa storia “non conclusa” e “conclusa ingiustamente”. Qual è l’obiettivo che si è posto con questo libro? Crede che possa contribuire a una riflessione più ampia sul sistema giudiziario italiano?
«Non oso dire tanto, ma sicuramente questo libro apre nuovi scenari. Il caso giudiziario è formalmente chiuso, ma ci sono elementi che non tornano. Per il rispetto verso una ragazzina a cui è stata tolta la vita, è necessario avviare una profonda riflessione».
Ha parlato di scenari sottovalutati dalla Procura. Quali ritiene siano stati i punti più fragili dell’inchiesta?
«Uno dei principali problemi è stato il mancato contraddittorio sul DNA con la difesa. C’è una pista legata a una Citroën C3 rossa, un possibile collegamento con la criminalità organizzata, altri DNA trovati sul corpo di Yara appartenenti a persone che lei conosceva, come la sua maestra di ginnastica. Ma nessuna di queste piste è stata approfondita».
Il caso Bossetti segna un precedente

Lei sottolinea che il caso Bossetti ha segnato un punto di svolta nella giurisprudenza italiana. Quali sono, secondo lei, le implicazioni più gravi di questa sentenza?
«Se domani trovassero il suo DNA su una persona che non conosce, ma che magari ha incontrato e l’accusassero di omicidio, lei non avrebbe modo di verificare se quel DNA fosse effettivamente suo. Questa sentenza ha eliminato la necessità di un contraddittorio scientifico».
Bossetti, secondo lei, è innocente?
«Non so se Bossetti sia innocente, ma è certo che non ha avuto la possibilità di difendersi adeguatamente circa la prova del DNA. Per questo, non dovrebbe stare in carcere».
La responsabilità del giornalismo d'inchiesta

Da giornalista, come valuta la copertura mediatica del caso Yara Gambirasio? Crede che i media abbiano influito sul giudizio pubblico e processuale?
«Assolutamente sì. I media possono essere uno strumento potente: in alcuni casi, come quello di Liliana Resinovich, hanno portato a riaprire le indagini e scoprire nuove prove. Tuttavia, se usati male, possono esercitare una pressione pericolosa».
Il giornalismo d’inchiesta spesso cammina sul filo tra diritto di cronaca e rispetto delle persone coinvolte. Come si può mantenere questo equilibrio in casi così delicati?
«Ci sono stati momenti in cui si è andati oltre, ma purtroppo il giornalismo è uno strumento che va utilizzato con attenzione. Confido nel buon senso dei professionisti».
Lei come gestisce la responsabilità di raccontare casi così emotivamente carichi, come l’omicidio di Yara, evitando di spettacolarizzare il dolore?
«Credo di aver mantenuto il massimo rispetto. Il tema principale è stato l’attenzione alla persona, l’educazione al rispetto. Ho voluto stimolare una riflessione profonda».
Per i giovani, questo mondo è pericoloso
Che impatto ha avuto su di lei, a livello personale e professionale, immergersi così profondamente in questa storia?
«È stato molto difficile. Sono coinvolto emotivamente, soprattutto nei confronti dei genitori di Yara, vittime di un dolore inimmaginabile. Questo tipo di esperienze ti segna profondamente».
Da padre, cosa prova davanti alle tante giovani vite spezzate? Yara, ma anche i tanti ragazzini uccisi negli ultimi mesi…
«Penso che oggi sia un mondo molto più difficile per i giovani. È diverso da quello in cui siamo cresciuti noi e pone i genitori di fronte a strumenti che non sempre sappiamo gestire. È un mondo pericoloso».
Che raccomandazioni dà ai suoi figli, uno di 31 anni e uno di 15?
«Di avere cura di se stessi. Parlo loro come farebbe un nonno, non solo come un padre. Ma poi esci, mettiti il casco e combatti. Per i giovani di oggi, è davvero complicato e noi genitori non sempre abbiamo gli strumenti per consigliarli al meglio».
La scrittura come rifugio creativo

Ha parlato apertamente della sua malattia genetica e del supporto ricevuto dalla sua famiglia, in particolare da Simona Ventura. Quanto questa esperienza ha influito sulla sua sensibilità nel raccontare storie complesse?
«Tantissimo. Questa, in realtà, è da sempre una mia attitudine. I miei genitori, laureati in filosofia, mi hanno insegnato a guardare al domani, non al passato. Questo approccio ha sempre segnato il mio modo di essere e di raccontare».
Ha partecipato a Ballando con le Stelle, mostrando un lato più personale. Che ruolo ha avuto questa esperienza nella sua vita?
«È stata fondamentale. Un’esperienza bellissima, che ha migliorato il mio stato mentale e fisico. Milly Carlucci è un’artista e una conduttrice straordinaria. Lo rifarei ogni anno, ma Milly non me lo permette (ride, ndr)».
L'amore per Simona Ventura

Un’ultima domanda: come va con Simona Ventura? Com’è cambiato il vostro rapporto dopo il matrimonio?
«Va ancora meglio di prima. Siamo sempre più innamorati. Simona è il mio angelo custode sceso in terra per me. Lo è sempre stata e lo sarà per sempre».
Un matrimonio firmato Enzo Miccio
Simona Ventura e Giovanni Terzi, insieme dal 2018, si sono detti “sì” questa estate per ben due volte, ma a impazzire è stato Enzo Miccio, il loro wedding planner. Mille invitati, altrettanti esclusi e cambi di programma continui hanno messo a dura prova la sua pazienza. A Che tempo che fa, infatti, Miccio ha raccontato con simpatia le sue peripezie, rivelando di aver mentito a tanti vip rimasti fuori dalla lista: «Dicevo che c’erano, anche se non era vero!». Ciliegina sulla torta? La proposta di cambiare location tre giorni prima del mega party di Milano. Terzi voleva San Siro, Ventura scherzava sul garage. Alla fine, la coppia si è sposata a Rimini nella splendida cornice del Grand Hotel, luogo dove la coppia ha raccontato di essersi innamorata. Sicuramente Miccio avrà tirato un bel sospiro di sollievo!
A te l'onere del primo commento..